di George Monbiot – 31 luglio 2014

Quando la disuguaglianza tocca livelli estremi e distruttivi, la maggior parte dei governi cerca di non affrontarla bensì di adattarvisi. Dovunque la ricchezza è concentrata in misura assurda sorgono nuove leggi per proteggerla.

In Gran Bretagna, ad esempio, governi successivi hanno privatizzato ogni bene pubblico che eccitasse l’avidità delle imprese. Hanno tagliato le tasse sui capitali e sui redditi elevati. Hanno legalizzato nuove forme di elusione fiscale. Hanno consegnato regali esotici quali porto d’armi sovvenzionati e raddoppio del sostegno statale alle riserve di caccia al gallo cedrone. E hanno scavato un fossato legale attorno al circolo dei fortunati, rendendo reato penale, ad esempio, l’occupazione di edifici vuoti e la maggior parte delle forme di pacifica protesta. Per quanto grottesca divenga la disuguaglianza, quanto più l’accumulo di una ricchezza disordinata assomigli a un furto legalizzato, tanto più norme politiche si schierano a difenderle.

Nulla di tutto ciò dovrebbe sorprendervi. Quanto più ricca diviene l’élite, e quanto più ha da perdere, tanto maggiore è lo sforzo che compie per impossessarsi del dibattito pubblico e del sistema politico. Neppure si preoccupa di mascherare l’acquisto all’ingrosso di partiti politici attraverso un sistema di finanziamenti del tutto corrotto e corrompente. Si può avvertire la sua morsa non solo sulla politica ma anche sulla scelta dei candidati al parlamento e sulle nomine del governo. I ricchissimi vogliono al potere gente simile a loro ed è questo il motivo per cui abbiamo un governo di milionari.

Ma ciò descrive solo un aspetto della loro influenza. Essi finanziano gruppi di pressione, gruppi di esperti e economisti per inventare giustificazioni sempre più elaborate per la loro cattura della ricchezza della nazione. Queste giustificazioni sono poi amplificate dai giornali e dalle emittenti di proprietà della stessa élite.

Ma le molte cose degne di nota scritte da Thomas Piketty nel suo Capital in the Twenty First Century[Il capitale nel ventunesimo secolo] – il suo libro epocale ma sorprendentemente mite – è che l’estrema disuguaglianza può essere sostenuta politicamente solo mediante un “apparato di giustificazione”. Se gli elettori possono essere persuasi che livelli folli di disuguaglianza sono sani, ragionevoli e persino necessari, allora la concentrazione del reddito può continuare a crescere. Se non ci riescono allora o gli stati sono costretti ad agire o hanno luogo rivoluzioni.

Poiché l’idea che le disuguaglianze devono essere giustificate è al cuore della democrazia. E’ possibile accettare che alcuni possano avere molto più di altri se sono soddisfatte due condizioni: o hanno raggiunto la loro posizione mediante l’esercizio di loro talenti uniti e rimarchevoli oppure tale disuguaglianza è un bene per tutti. Perciò la rete di gruppi di esperti, economisti e giornalisti addomesticati deve rendere plausibili queste giustificazioni.

E’ un compito arduo. Se i salari riflettono il merito, perché sembrano tanto arbitrari? I dirigenti più ricchi sono cinquanta o cento volte più bravi nel loro lavoro di quanto lo fossero i loro predecessori nel 1980? Sono venti volte più competenti e istruiti di quelli che stanno immediatamente sotto di loro, anche se hanno frequentato le stesse scuole commerciali? I dirigenti statunitensi sono diverse volte più creativi e dinamici di quelli tedeschi? In caso affermativo, com’è che i loro risultati sono così poco degni di nota?

Naturalmente sono tutte balle. Quella cui assistiamo non è affatto meritocrazia all’opera bensì un agguantare ricchezza da parte di una classe dirigenziale nepotistica che fissa i propri stipendi, mette alla prova la credulità con le proprie ridicole rivendicazioni e scopre che la credulità è un cliente accondiscendente. Devono meravigliarsi di come riescono a farla franca.

Inoltre, con l’istruzione e persino (nell’era degli stagisti) il lavoro che diventano più costosi, le opportunità di entrare nella classe degli arraffatori diminuiscono. Le nazioni che pagano gli stipendi di vertice più elevati, come gli USA e la Gran Bretagna, sono anche le meno socialmente mobili. Qui si eredita non solo la ricchezza ma anche l’opportunità.

A-ha!, dicono, ma la ricchezza estrema è un bene per tutti noi. Tutti saremo fatti salire dalla mano invisibile del loro dio. Il loro credo è basato sulla curva di Kuznets, il grafico che compare per dimostrare che la disuguaglianza declina automaticamente con il progredire del capitalismo, che diffonde la ricchezza dall’élite al resto.

Quando Piketty si è preso la briga di aggiornare la curva, proposta inizialmente nel 1955, ha scoperto che la ridistribuzione che essa documentava era un prodotto della situazione particolare del suo tempo. Da allora la concentrazione della ricchezza si è riaffermata con una rivalsa. La riduzione della disuguaglianza a tutto il 1955 non era una caratteristica intrinseca e automatica del capitalismo, bensì il risultato di due guerre mondiali, di una grande depressione e di una fiera reazione dei governi a tali disordini.

Ad esempio la massima aliquota fiscale federale sul reddito negli USA salì dal 25% del 1932 al 94% nel 1944. L’aliquota massima media negli anni dal 1932 al 1980 era dell’81%. Negli anni quaranta il governo britannico impose un’aliquota massima sul reddito del 98%. La mano invisibile? Ah, ah, ah! Quando queste tasse furono tagliate da Reagan, dalla Thatcher e dal resto, la disuguaglianza esplose di nuovo, e sta esplodendo oggi. E’ per questo che i neoliberisti odiano Piketty con tale passione e veleno: egli ha distrutto con i dati i due grandi argomenti con cui l’apparato di giustificazione cerca di scusare l’inescusabile.

Dunque abbiamo qui un’occasione perfetta per i partiti progressisti: il crollo ideologico e morale del sistema di pensiero di cui in precedenza erano alla mercè. Che cosa fanno? Evitano l’opportunità come la difterite. Sottomesso dall’infrastruttura dell’argomento acquisito, il partito laburista tergiversa e bamboleggia.

Ma c’è un altro partito che ha scoperto il fuoco e la passione che tanto tempo fa animavano il partito laburista: i Verdi. La settimana scorsa hanno rivelato che il loro manifesto per le elezioni generali proporrà un salario minimo, la rinazionalizzazione delle ferrovie, un rapporto massimo di remunerazione (nessun dirigente dovrebbe ricevere più di dieci volte il salario dell’operaio pagato di meno) e, al cuore delle loro riforme, una tassa patrimoniale del genere raccomandato da Piketty.

Sì, ciò solleva una quantità di questioni, ma nessuna cui non si possa trovare risposta, specialmente se questo è visto come un passo in direzione della posizione ideale: una tassa globale sulla ricchezza che tratti ugualmente il capitale dovunque possa rintanarsi. Per quanto grezza possa essere questa proposta, essa comincerà a contestare l’unanimità politica e ad attirare persone che persone che pensavano di non avere nessuno spazio. Aspettatevi che i lustrascarpe dei miliardari comincino a strillare, una volta che abbiano assorbito le implicazioni. E prendete i loro fischi e le loro irrisioni come conferma che qualcosa bolle in pentola. Volevate un’alternativa progressista? Ce l’avete.

www.znetitaly.org

Fonte:http://zcomm.org/znetarticle/unmasked/

Originale:  The Guardian

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2014 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0