Massimo Piras è presidente di Zero Waste Lazio, una associazione di volontariato regionale che si occupa degli aspetti tecnologici, normativi e formativi della corretta gestione dei rifiuti. Promuove convegni, seminari, assemblee e proposte di legge di iniziativa popolare che sono state depositate nel 2011 alla Regione Lazio, nel 2012 al Comune di Roma.

Ideatore della bozza di LIP Rifiuti Zero e promotore della Campagna Legge Rifiuti Zero che ha conseguito il risultato di adesione di oltre 500 associazioni e comitati di livello nazionale – regionale – provinciale e locale.

Attualmente è portavoce nazionale del Movimento Legge Rifiuti Zero; gli chiediamo a che punto sta la campagna.

 

Perché è stato costituito il Movimento Legge Rifiuti Zero e quali sono le sue caratteristiche ed i suoi progetti in cantiere?

 

la decisione di costituire in Movimento le moltissime associazioni e comitati che hanno supportato la Legge Rifiuti Zero nasce da diverse esigenze tra cui possiamo certamente indicare sia quella di dare un nome ad un soggetto nazionale che ha saputo riaggregare tante vertenze locali che sinora non avevano trovato una proposta che le mettesse assieme sulla stessa battaglia che quella di darci una prospettiva strategica che vede la discussione della proposta di legge ovviamente al primo posto. Ma occorre anche mettere in conto che questo Parlamento potrebbe decidere di lasciare in un cassetto, come fatto sinora con tutte le proposte di iniziativa popolare, anche questa sebbene la nuova Campagna che stiamo lanciando punti proprio a dimostrare che al di là del dibattito parlamentare siamo oggi in grado di dare una indicazione generale anche a specifiche vertenze nazionali. La nuova Campagna “Legge Rifiuti Zero: Qui,Ora! ” si stà occupando in fatti proprio di lanciare ben tre vertenze nazionali specifiche diverse che prendono spunto dal testo della proposta di Legge Rifiuti Zero:

1) una vertenza chiamata “Stop discariche di talquale e Stop al CSS da incenerire” , riprende infatti i temi dalla moratoria agli inceneritori ed al conferimento in discarica di rifiuti non trattati, oggi illegale dopo la Circolare Ministero ambiente del 6/8/2013,

2) una vertenza chiamata “Compostiamoci bene” che vuole divulgare le buone pratiche di trattamento della frazione organica “pulita” proveniente dalla raccolta “porta a porta”, utilizzando ambedue le tecnologie aerobica / anaerobica con l’esplicita finalità di produrre compost agronomico di qualità ed eventualmente metano da immettere in rete ma con nuovi e rigidi criteri di trattamento,

3) una vertenza chiamata “Comuni a spreco zero” che vuole istituire un nuovo criterio di classificazione di “virtuosità” da parte dei Comuni che sono già in fase avanzata come obiettivi di raccolta porta a porta, ma che non tiene in considerazione la sola % di Raccolta o di Riciclo ma rapportare il risultato finale a quanto rifiuti finale x abitante x anno viene inviato a discarica detratte tutte le frazioni riciclate.

 

Come inciderebbe la proposta di legge Rifiuti Zero nell’attuale contesto di emergenza rifiuti specie nel centro sud?

 

Tutti sappiamo che l’Italia è fondamentalmente divisa in due aree geografiche, una area del CentroNord in cui esiste una dotazione di impiantistica per il trattamento di incenerimento in presenza di % di riciclo medie intorno al 50% ed una area del CentroSud in cui prevale il conferimento in discarica in presenza di % di riciclo medie intorno al 15%. Tale situazione pone oggettivamente il CentroSud in mora già dallo scorso anno, con l’emissione della Circolare Ministero ambiente del 6/8/2013, dal momento che esistono centinaia di discariche fuori legge in cui ancora si conferisce rifiuto “talquale” per mancanza anche dell’impiantistica meccanica di selezione per separare la frazione inorganica da quella organica putrescibile da inviare a stabilizzazione-bioessiccazione. Assistiamo ancora oggi ad intere regioni come la Campania – la Calabria – la Puglia – la Sicilia in cui ancora oggi si sversa illegalmente il rifiuto talquale, attraverso deroghe inventate, o si pianifica l’esportazione all’estero od in altre Regioni del CentroNord dotate dell’impiantistica con costi enormi a carico delle comunità. Nel Lazio sino a fine 2013 sono state in funzione cinque discariche fuori legge che sono state chiuse anche a seguito della diffida – esposto che Zero Waste Lazio ha depositato alla procura della Repubblica di Roma, e che ha costretto la giunta regionale ad organizzare in impianti regionali il trattamento dei rifiuti sia di Roma prima che di altri Comuni siti delle discariche chiuse poi.

Fondamentalmente quindi la nostra azione è una azione di ripristino di un livello minimo di legalità sulla gestione dei rifiuti, in cui per esempio nel Lazio, dalla vicenda di Malagrotta a quella di Colleferro, si dimostra che il sistema era mirato solo a creare enormi profitti a pochi monopolisti che hanno generato un sistema di connivenza con le istituzioni che ha inquinato per decenni sia il rispetto delle normative che gli stessi territori saccheggiati.

 

Quali effetti può avere sul sistema generale previsto dalla legge vigente 152/2006, ed in particolare su quali tecnologie di trattamento è basata la Strategia Rifiuti Zero?

 

Oggi abbiamo un Testo Unico che prevede procedimenti che oggettivamente sono conflittuali tra di loro, la raccolta differenziata e gli impianti di riciclo e compostaggio hanno esattamente l’esito del “recupero di materia” che è opposto al costruire impianti di produzione di CSS – inceneritori e discariche di servizio che puntano al “recupero di energia” dalla combustione di rifiuti non differenziati. Questo sistema, chiamato impropriamente “ciclo integrato dei rifiuti”, di fatto non integra nulla, avendo in dieci anni attestato la media italiana di Raccolta Differenziata intorno all’attuale 35%, essendo assolutamente prevalenti gli interessi economici legati alla speculazione sugli incentivi energetici attuali agli incentivi non – esistenti per favorire la massima differenziazione dei rifiuti. Difatto uno di punti di forza della Legge Rifiuti Zero è la abrogazione del sistema di incentivazione per produrre energia e calore dalla combustione dei rifiuti, anche attraverso una moratoria sino al 2020 per fermare qualsiasi progetto di inceneritori da realizzare, ed istituire subito un sistema corretto per incentivare la raccolta “porta a porta” che deve essere obbligatoria entro due anni, l’introduzione della tariffa puntuale entro tre anni, la realizzazione degli impianti di selezione e riciclo delle frazioni inorganiche differenziate e degli impianti di compostaggio aerobico / anaerobico per le frazioni organiche differenziate.

 

Quali effetti sono previsti sul ciclo economico e soprattutto sul ciclo occupazionale italiano dei rifiuti?

 

L’introduzione obbligatoria della Raccolta “porta a porta” dappertutto, con l’implementazione della tariffa puntuale, con la realizzazione dei Centri di riuso e riparazione, con la previsione di trattamento di riciclo e di compostaggio delle frazioni differenziate e con la Riprogettazione finale di beni non riciclabili è stato da tempo calcolato da diversi centri di ricerca che potrebbe portare gli addetti alla gestione rifiuti in Italia attuali 38.000 a circa altri 400.000 nuovi addetti. Ulteriori considerazioni da fare è questo tipo di intervento globale è per definizione un progetto “cantierabile” immediatamente, dato che oggi sono centinaia i Comuni che possono dimostrare la concreta fattibilità e sostenibilità finanziaria, e che produce una occupazione stabile, con diverse fasce di professionalità e non delocalizzabile per definizione e per legge.

 

Come possono essere quantificati oggi i benefici generali della proposta di legge sull’ambiente e sulla salute?

 

Il beneficio dovuto alla riconversione industriale del ciclo dei rifiuti,  che prevede anche un regime transitorio con tempi di attuazione diversificati che prevedono l’obiettivo Rifiuti Zero finale al 2020, sarebbe non solo immediato in termini di cessazione dell’incremento delle emissioni inquinanti ma anche di graduale dismissione di tutti gli impianti di combustione dei rifiuti che immettono particelle tossiche e pericolose come diossine – furani – metalli pesanti. Il passaggio al “recupero di materia” prevede infatti l’uso di tecnologie “a freddo”, intese come impianti di selezione meccanica od impianti che escludono comunque il ricorso alla combustione, che non solo bloccano l’avanzata dell’inquinamento di suolo – acque di falda – atmosfera ma consentono di recuperare materie prime secondarie preziose (dalla cellulosa, alle plastiche, ai metalli) che possono arrivare a coprire sino a quasi il 50% del fabbisogno nazionale andando a limitare l’importazione di legno, petrolio, metalli e consentendo di migliorare anche il bilancio economico nazionale.

Tenendo conto che la plastica da materia prima secondaria costa mediamente almeno dieci volte meno della plastica vergine si può certamente avanzare anche la considerazione ulteriore che tali margini operativi industriali consentono di poter produrre e commercializzare beni e prodotti con costi molto inferiori a quelli attuali, contenendo la ricostruzione di un nuovo ciclo industriale manifatturiero locale che possa anche sostenere la competizione in atto con prodotti importati da altri mercati globalizzati.