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Fino a poco tempo fa, Iryna Brunova-Kalisetska, peacebuilder in conflitti di identità e diversità dell’educazione in un contesto multiculturale e multireligioso, viveva e lavorava in Crimea. Dopo l’annessione da parte della Russia della penisola ucraina, si è ritrovata, come migliaia di persone, a dover affrontare una situazione che richiede scelte molto ardue. Per vari motivi, tra cui la preoccupazione per la sua incolumità personale, lascia la sua città natale Sinferopoli, in Crimea e attualmente vive a Kiev, capitale dell’Ucraina. Mentre prova a rimettere insieme la sua vita continua a dare il suo contribuito per trovare soluzioni pacifiche a una situazione che va sempre più deteriorandosi.

Mentre i social media si concentrano sulla dimensione geopolitica della crisi, Iryna mette in luce gli effetti che il conflitto ha avuto sulla sua vita e su quella della popolazione ucraina dal novembre del 2013. Inoltre, durante una conversazione con Deniz Duzenli e Zahid Movlazadeh della Rete Globale per la Prevenzione dei Conflitti Armati (GPPAC), si è soffermata sulle minacce e sulle possibilità degli interventi di peacebuilding.

Il GPPAC è una rete guidata dalle società civili con l’obbiettivo di prevenire i conflitti armati in tutto il mondo. Iryna Brunova-Kalisetska è un membro del GPPAC e lavora in Ucraina e nell’Europa Orientale. Precedentemente Professore Associato di Psicologia presso l’Università Nazionale di Tavrida e coordinatrice di diverse iniziative di pace e di educazione per la risoluzione dei conflitti in Crimea e in altri contesti colpiti dal conflitto.

Gestire la propria identità

Dal novembre dello scorso anno, ho dovuto prestare maggiore attenzione ed essere più consapevole riguardo la distinzione dei diversi ruoli da me incarnati come lettrice universitaria, peacebuilder, attivista civile, psicologa ed esperta politica. Nella comunicazione e nel mio impegno pubblico quotidiano nelle conferenze universitarie, nelle riflessioni e comunicazioni tramite social media, nel mio impegno con i colleghi o con i destinatari dei progetti di educazione alla pace, vi è una crescente riflessione interna sul modo in cui le mie parole ed azioni possono influenzare un interlocutore o un pubblico.

Analizzando e rianalizzando le mie risposte emotive dettate dalla paura, gli stereotipi e le percezioni distorte costituiscono una parte della mia routine mentale quotidiana. Tutto questo, a sua volta, gestisce il modo in cui manovro e rispondo a simili reazioni tra amici, colleghi e studenti nel tentativo di prevenire il loro stesso incoraggiamento della polarizzazione a livello individuale ed interpersonale – è questa la responsabilità di cui un peacebuilder deve farsi carico.

Lavorare attraverso i valori fonte di divisioni

Una cara amica, giornalista della Crimea, aveva delle forti convinzioni a favore della Russia e di Putin. Sin dal principio della divisione tra coloro a favore dell’EuroMaidan e gli AntiMaidan, entrambe eravamo coscienti del fatto che le nostre interpretazioni e percezioni degli eventi a Kiev e in Crimea erano fondamentalmente opposte. Fummo comunque d’accordo che queste differenze non si sarebbero dovute tradurre in uno scontro interpersonale. Tuttavia, contestualizzandole, le differenze si convertono in un meccanismo di peacebuinding. Voglio dire che ad un certo punto le manifestazioni in Ucraina continuarono e ci fu un momento nel quale, in Crimea, furono molto probabili episodi di violenza interetnica. Due manifestazioni furono contemporaneamente programmate a Sinferopoli. Si delineò la possibilità che i tatari di Crimea a favore dell’EuroMaidan e i movimenti e le organizzazioni politiche russe si scontrassero con gravissime conseguenze. In linea con i nostri orientamenti politici, partecipammo a due diverse manifestazioni. Continuammo tuttavia a comunicare con l’altra assicurandoci di trasmetterci a vicenda gli indicatori di aumento delle tensioni da ciascun lato o in caso ci fosse una proposta di attacco.

Lei continua a vivere in Crimea, mentre io mi sono trasferita a Kiev. Continuiamo a scambiarci osservazioni  e percezioni da entrambi i lati – in questo caso, letteralmente attraverso le divisioni. È di fondamentale importanza mantenere una connessione con una persona “dall’altro lato” con la quale poter riflettere non solo su posizioni differenti ma anche parlare apertamente delle proprie paure e profonde preoccupazioni al riguardo, sapendo che la realtà di queste differenze è rispettata ed accettata.

Le ardue scelte di identità

Gli sviluppi recenti hanno colpito diversi gruppi in modi differenti, rimane però ancora da analizzare dettagliatamente la misura e le modalità in cui questi gruppi sono stati colpiti. Molti si sono visti costretti dal conflitto a scegliere tra identità multiple, che siano di natura etnica, culturale, linguistica, politica, regionale o civile. È una scelta che devono fare persone che tradizionalmente popolano la penisola, con un bagaglio culturale diversificato: russi, ucraini, tartari di Crimea, ebrei, azerbaigiani, armeni, tedeschi, greci ed altri.

Queste decisioni sono molto più dolorose  per gli ucraini e i tatari di Crimea, i quali si identificano sia con l’Ucraina che con la Crimea. Infatti, se gli ucraini della Crimea si sono sentiti abbandonati da Kiev subito dopo l’occupazione russa, i tatari di Crimea hanno vissuto questa situazione come la recente deportazione del 1944 da parte dell’Unione Sovietica. Attualmente, c’è rabbia e disperazione per l’annessione della Crimea alla Russia, da sempre in opposizione. Stanno affrontando due opzioni: la scelta tra rimanere un cittadino ucraino in Crimea, le cui procedure per ottenere un permesso di residenza, per lavorare e per possedere una proprietà sono poco chiare; oppure, diventare un cittadino russo, che renderebbe la vita quotidiana più semplice, ma potrebbe esser visto come un atto di odio verso la propria madrepatria e identità.

Le implicazioni sulla vita quotidiana

Secondo alcune stime, circa 5.000 persone hanno già lasciato la Crimea. Non vi è alcuna informazione specifica sull’identità etnica di queste persone, in ogni caso, il motivo principale è chiaro: non vogliono vivere sotto la legge russa. La separazione familiare sta provocando delle perdite, molti si trovano ad affrontare la difficile decisione se rimanere a casa, in Crimea, dove il loro futuro è incerto o spostarsi in altre regioni, in Ucraina o all’estero per un futuro migliore. Per le generazioni più giovani che sperano di costruire il loro futuro altrove, la decisione non è facile come potrebbe sembrare, perché significa lasciare la famiglia.

Persino i russi in Crimea non possono totalmente comprendere le conseguenze e il livello dell’impatto sulle loro vite. Per esempio, i genitori russi di giovani ragazzi mai avrebbero potuto immaginare che i loro figli avessero dovuto arruolarsi nell’esercito russo all’età di 18 anni e prestare servizio nel Caucaso del Nord, che per molti non è di certo l’opzione più ambita. Inoltre, vedono nelle loro vite una maggiore influenza e propaganda della politica russa. Per fare un esempio, un cartellone, apparso recentemente in una stazione ferroviaria in Crimea, ritrae i visi delle autorità dell’opposizione russa descrivendoli come agenti di guerra sotto l’influenza occidentale. Questo tipo di propaganda non è mai stata comune in Crimea. C’era una barzelletta popolare sui gruppi russi che protestavano contro l’EuroMaidan che diceva che questa sarebbe potuta essere la loro ultima protesta.

Le maggiori implicazioni pratiche, provocate dalla situazione attuale, riguardano la vita quotidiana. Avvocati e notai licenziati in Ucraina non possono praticare in quella che oggi è la Russia. Proprietà, matrimoni ed anche bambini appena nati non possono essere registrati. Questo sta provocando rabbia e frustrazione, il tutto peggiorato dalla nuova situazione politica. I partiti politici russi sono già presenti, pronti per le elezioni locali programmate per settembre. La gente teme di non poter prenderne parte a causa del lungo e povero processo per ottenere un passaporto russo e acquisire il diritto di voto.

Il peacebuilding in Ucraina

Spesso dimentichiamo che in un contesto di violenza in atto, parlare o impiegare approcci di peacebuilding è percepito in modo diverso rispetto alle situazioni pre o post-violenza. Una popolazione colpita dal conflitto non ha necessariamente la capacità emotiva di pensare in termini di peacebuilding. Spesso pensiamo che i gruppi abbraccerebbero con entusiasmo iniziative del genere, la realtà è differente. Qual è il mezzo più efficace per promuovere il dialogo quando la popolazione è preoccupata prima di tutto per la propria incolumità e sicurezza fisica e rivolgersi alle armi sembra l’opzione più fattibile per difendersi?

In quanto rete, stiamo facendo tutto ciò che si possa fare in questa situazione: psicologi professionali della rete hanno aiutato i diversi gruppi della Crimea sia prima che dopo l’annessione. I miei colleghi del GPPAC hanno riconciliato gruppi soprattutto di differenti città per allentare le tensioni. Siamo anche attivi nel fornire analisi del conflitto e condividerle con importanti istituzioni e con il pubblico sia attraverso i mezzi di comunicazione tradizionali che i social media. Altri membri non ucraini della rete, soprattutto dalla Moldavia, dalla Bielorussia e dalla Russia stanno offrendo il loro aiuto e consigli su strategie di prevenzione del conflitto efficaci che possano essere impiegate in questa situazione di crisi in Ucraina. Il lavoro è stato avviato anche nell’Ucraina orientale – membri della rete hanno recentemente visitato la città di Donec’k e trascorso qui qualche giorno occupandosi di gruppi di diversa appartenenza politica e culturale per identificare gli incentivi e le opportunità potenziali per riconciliarli.

In quanto rete GPPAC, abbiamo sviluppato un processo che cerca di indirizzare la crisi alimentando il dialogo condotto dalle società civili tra i diversi gruppi all’interno della nazione, in cui diversi gruppi di interesse riescono ad articolare le loro necessità, le paure e le motivazioni con la speranza di giungere ad una comprensione condivisa del modo in cui risolvere le tensioni sia a breve che a lungo termine. Inoltre, stiamo esaminando la riconciliazione delle società civili, dei media e degli esperti politici dell’Ucraina e della Russia per intavolare un dialogo tra le parti divise della società. Continueremo a monitorare la situazione da vicino mentre condividiamo le nostre analisi con il pubblico e con le autorità politiche, quando possibile. Si tratta di un processo a lungo termine che dipende enormemente dalla realtà politica e dagli spazi della società civile da occupare. In generale, c’è tanto lavoro per un peacebuilder, e come sempre ho paura.

Zahid Movlazadeh sostiene il lavoro del GPPAC in Europa Orientale;

Deniz Duzenli è Content Manager presso il Segretariato Globale del GPPAC. www.gppac.net.

Traduzione dall’inglese di Francesca Vanessa Ranieri