Aprile 2014: quindici anni dopo i bombardamenti di pace e le propagande di guerra contro la ex Jugoslavia. Quello per il quale si proclamò: “il più terribile genocidio degli ultimi cinquant’anni dopo l’Olocausto”. Era da poco finita la Guerra di Bosnia, fu annunciato un immane genocidio in Kosovo, si sbandierò la cifra monstre di 200.000 vittime e si condannò, preventivamente, la corresponsabilità del mondo, se non si fosse intervenuti, armi e bombardieri, a “fermare il massacro”. L’ONU, di lì a pochi anni, avrebbe ridimensionato le vittime in Kosovo a meno di 10.000, comunque tante e troppe, alcune dovute alla repressione da parte della polizia e della milizia serba nella regione, altre dovute alla guerriglia terroristica dell’UCK ed alle conseguenze dei bombardamenti della NATO.

Degna conclusione di questo “teatro”, cinico e macabro, di morti e di cifre, nel giugno 2001 perfino Jamie Shea, portavoce NATO, ha dovuto ammettere che “non c’è stato un genocidio in Kosovo”, così come, alla vigilia della guerra, era stato un rapporto ufficiale degli esteri tedeschi a dichiarare che “non c’è una persecuzione etnica contro gli albanesi in quanto gruppo etnico. Solamente scontri tra eserciti o formazioni militari e para-militari”. Negli anni successivi, sono stati esumati poco più di 2.000 corpi di varie nazionalità, morti, come è stato accertato, nelle circostanze più diverse, alcuni vittime delle bombe NATO, altri di attacchi UCK, altri infine di azioni compiute dalle forze serbe.

Come detto, il numero complessivo delle vittime dei conflitti in Kosovo viaggia a meno di 10.000. Il “genocidio”, che parlava, secondo i media, di oltre 200.000 civili massacrati, era un’invenzione della propaganda di guerra. La guerra in Kosovo si è esercitata in molte innovazioni: l’annullamento del diritto internazionale e l’esercizio di una clamorosa grancassa mediatica sono solo due tra le più impressionanti. Non “una sola” responsabilità, dunque, ma tre fattori hanno provocato l’esodo di massa di profughi albanesi all’inizio della guerra: la violenza diffusa dell’UCK, la reazione violenta della milizia serba, i bombardamenti e le devastazioni portate dalla NATO. Usare, a fini di parte e in maniera inconsistente, il termine “genocidio” è il modo peggiore per curare e preservare la memoria e il dolore delle tante vittime dei tanti genocidi che si sono susseguiti nel corso della storia umana.

Giugno 1999: bilanci di guerra. Durante i tre mesi di bombardamenti di città e villaggi, sono stati uccisi 2.500 civili, tra i quali 89 bambini; 12.500 feriti, cui vanno aggiunte le morti di leucemia e di cancro causate dagli effetti delle bombe a uranio, difficilmente quantificabili, ma che continueranno a causare sofferenze e morti a distanza, attraverso le generazioni, nel futuro. L’ecocidio pianificato dalla NATO non si è realizzato solo attraverso il rilascio di armi e munizioni ad uranio, ma anche col bombardamento diretto, non per effetto collaterale, di impianti industriali a forte impatto bio-chimico come le industrie chimiche, farmaceutiche e petrolifere, bombardamento che ha contribuito in maniera impressionante al rilascio di sostanze tossiche nell’intero ecosistema, inquinando aria, terreno, campi, città e falde acquifere, anche in questo caso con una contaminazione grave e duratura.

Impossibile non menzionare le distruzioni materiali: “2.300 attacchi aerei hanno distrutto 148 edifici, 62 ponti, danneggiato 300 scuole, ospedali e istituzioni, e 176 monumenti di interesse culturale”. Lunga la lista di distruzioni: il complesso chimico di Pančevo ha subito danni per un miliardo di dollari, la raffineria di Novi Sad distrutta, la rete di Telekom Serbia devastata, la Tecnogas messa fuori uso e lo storico stabilimento della Zastava a Kragujevac, oggi FIAT, distrutto. Ingenti i danni inflitti alle strade ed alle ferrovie. La stima dei danni di guerra delle autorità serbe ammonta ad oltre 100 miliardi di dollari. Altre stime computano l’ammontare dei danni a più di 120 miliardi di dollari. Ogni giorno, dell’estenuante cronologia di guerra, distilla distruzione e morte. Oggi, 14 aprile, due convogli di profughi kosovari vennero colpiti dai caccia NATO: 75 le vittime innocenti accertate.

Variano le cifre, ma resta la sostanza: una devastazione, umana e materiale, impressionante. Che dà ragione alla minaccia dell’allora comandante delle forze USA impegnate nella guerra in Jugoslavia, Wesley Clark: «Riporteremo indietro la Serbia di cinquant’anni». Un misto di cinismo e di barbarie. Verità e Giustizia, è proprio vero, sono sempre le prime vittime della propaganda e della guerra.