Ricordando il tifone che ha duramente colpito le Filippine, Pressenza rivisita queste scene con una lettera di ringraziamento a tutti coloro che hanno offerto il loro aiuto in quei giorni così difficili, per ricordare al mondo che molti di loro vivono ancora oggi in quelle condizioni e per permetterci anche di comprendere cosa si provi a essere tra le vittime ed essere un familiare lontano da casa e dalla tragedia.

di Niday R. Mayor

Nella notte del 7 novembre 2013, alle 23:00 circa, chiamai mia sorella maggiore. Avevo intuito la sua preoccupazione ed insicurezza per le loro condizioni e capivo perfettamente come si sentiva in quel momento. Infatti, non appena le chiesi dei preparativi per l’incombere del super tifone Yolanda, la sua voce iniziò ad incrinarsi. Le assicurai che la situazione era sotto controllo, ma che dovevano comunque essere pronti al peggio. A quel punto, cominciò ad informarmi dei loro preparativi: mi disse che in un angolo della casa, su un tavolo da studio avevano riposto alcuni pacchi imballati con vestiti e coperte, avevano cucinato cibo per due giorni, riempito bidoni e bottiglie con acqua potabile, messo lampade al cherosene e torce elettriche all’interno di grandi scatole di biscotti vuote. Avevano anche calcolato dove rifugiarsi all’interno dell’abitazione nel caso in cui i tetti delle loro camere fossero volati via e non fossero più abitabili. Soprattutto avevano stabilito da che parte della casa uscire, si sarebbero recati presso un enorme palo di legno sotto un grosso albero vicino alla loro abitazione. Mio nipote aveva legato quattro corde da un pilastro della casa al tronco di un albero ed aveva ordinato a ciascuno di stringere con forza la corda mentre si riparavano accanto al palo. Avrebbero anche dato fuoco alla cucina per riscaldarsi. Dopo avermi elencato i preparativi fatti, aggiunse: prega per noi e controlla sempre la nostra situazione. Quella fu la nostra ultima conversazione, perché quando richiamai, circa alle 2:00 dell’8 novembre 2013, il telefono era sempre irraggiungibile.

La conversazione mi aveva lasciato turbato, perché avevo compreso quanto mia sorella e il resto della famiglia fossero gravemente in pericolo. Non ho più chiuso occhio, me ne stavo attaccato alla radio, attendendo ansiosamente un aggiornamento sull’imminente super tifone Yolanda. Tante volte provai a chiamarli sui cellulari, ma dall’altro lato tutto quello che sentivo era: “il numero da lei chiamato non è al momento raggiungibile”, oppure “nessun servizio”. Successivamente alla radio comunicarono che il tifone si dirigeva in prossimità della città di Ormoc, casa nostra. Come era prevedibile il super tifone aveva sconvolto le popolazioni di Ormoc e delle provincie vicine. In quanto unico membro della famiglia lontano dal luogo del disastro, vivevo in uno stato di angoscia e tachicardia. Nei cinque giorni che seguirono la distruzione di Ormoc, Tacloban ed altre città, non ebbi modo di sapere cos’era successo alla mia famiglia. Pensieri e domande si susseguivano nella mia mente: saranno sopravvissuti al super tifone? dove saranno? come staranno? Giorno dopo giorno, il mio stato d’animo cominciò a cedere. Desideravo ardentemente di ricevere informazioni sulle condizioni della popolazione di Ormoc e nell’esatto momento in cui vidi in televisione l’entità della tragedia, non riuscii a trattenere le lacrime. Il desiderio di avere informazioni sulla mia famiglia era così intenso… così difficile da contenere. In diverse occasioni provai a prenotare un viaggio, ma non erano disponibili né aerei né autobus che mi portassero direttamente sul posto. Un senso di impotenza si era impossessato di me. Era la stessa sensazione che provai 23 anni prima quando un’alluvione mortale colpì la città provocando più di ottomila vittime.

Dopo sei giorni, esattamente il 14 Novembre 2013, ricevetti notizie da mio nipote di Cebu: la mia famiglia era sopravvissuta all’attacco distruttore del super tifone Yolanda. Mi disse: “servono loro urgentemente cibo, vestiti, coperte e cherosene per le lampade”. E aggiunse: “e trapal [N.d.T: teli] per proteggersi dalla pioggia”.  Esclusi i trapal, mio nipote aveva inviato i beni di prima necessità alla nostra famiglia e fornito viveri extra ai vicini. Dopo sette giorni di sopravvivenza nella nostra casa senza tetto, mia sorella fu trovata stesa sotto le macerie, respirando affannosamente. Fu trasportata all’ospedale e subito le fu diagnosticata una polmonite a causa dell’alternarsi di temperature alte e basse, del trauma e della tensione psicologica provocata dalla tragedia. Fortunatamente si riprese in pochi giorni e le fu proibito di occuparsi dei lavori domestici. Così come le altre case della regione anche la nostra non fu esente dal vento furioso del super tifone Yolanda, il quale si è portato via gran parte della nostra casa senza tetto. Tuttavia grazie a coloro che hanno offerto una preghiera, molti cittadini di Ormoc, per la seconda volta, sono sopravvissuti alla più recente catastrofe della loro vita.

Intorno all’11 novembre 2013, Willa Tecson, un’amica, mi scrisse per informarsi della situazione della mia famiglia. Senza dirglielo alla sua domanda versai lacrime di gioia. Le dissi francamente che la mia famiglia aveva urgente bisogno di cibo, acqua potabile e cherosene per le lampade notturne. Willa mi disse che avrebbe chiesto aiuto agli amici attraverso i mezzi di comunicazione. Nell’arco di una settimana mi comunicò che era riuscita a raccogliere trentotto piccole scatole di aiuti assortiti. È così che tutto cominciò, con gli aiuti di Willa e le risposte positive della gente dal cuore grande, le vittime del super tifone Yolanda ricevettero una boccata d’ossigeno: alimenti immediatamente disponibili per nutrirli in quei primi giorni bui dopo Yolanda.

La mia famiglia e io, i miei vicini e qualche residente del nostro baranggay [N.d.T. quartiere] vogliamo mandare un caloroso “Grazie”a tutti coloro che ci sono stati vicini in questi tristi momenti in cui la SPERANZA era quasi o del tutto scomparsa.

Pacchi e consegna

L’imballaggio degli aiuti è stato realizzato grazie all’intervento di due giovani, Willa e un amico, e due madri della SDC (Swiss Agency for Development and Cooperation), nanay [N.d.T. mamma] Rosalia e Chona. Gli aiuti erano sistematicamente e attentamente impacchettati in scatole sigillate. Alle 17:00 circa del 17 novembre 2013, Willa e i suoi aiutanti portarono questi aiuti all’aeroporto locale dove l’aereo dell’AirAsia li avrebbe trasportati a Cebu. Il 19 novembre 2013, furono scaricati a Mactan, Cebu. Il giorno seguente, mio nipote Jasper Movilla, li richiese e sistemò tutte le scatole nel suo dormitorio. Grazie all’aiuto dei suoi studenti, Jasper spese solo circa 700,00 pesos (circa 11,00€) per merendine e per l’affitto di un jeepney, un mezzo di trasporto pubblico, per trasportare le 15 scatole.

Gli aiuti furono trasportati dall’abitazione di Jasper al porto Pier 4 di Cebu. Abbiamo noleggiato un furgone per 800,00 pesos (circa 13,00€) per il trasporto degli alimenti al porto e pagato 400,00 pesos (circa 6,50€) ai facchini che hanno caricato le 15 scatole sulla nave. Non abbiamo pagato nulla per la tassa di imbarco e di trasporto, in quanto il proprietario della nave, Roble Shipping, era uno zio della mia cara mamma. Le scatole viaggiarono verso Ormoc nella notte del 12 dicembre 2013. La mattina seguente, il 13 dicembre 2013, finalmente gli aiuti arrivarono al porto di Ormoc. Il sindaco della città ci aveva predisposto gratuitamente una macchina di consegna per cui abbiamo speso solo 600,00 pesos (circa 10,00€) per i due facchini (300,00 pesos ciascuno) che caricarono le scatole nei veicoli adibiti alla consegna. Inoltre, consegnammo ai facchini qualche genere di prima necessità e noodles per la colazione. Gli alimenti furono sistemati nell’abitazione senza tetto di mia sorella per impacchettarli e ridistribuirli al principale baranggay.

Il 22 novembre 2013, gli aiuti avrebbero dovuto attraccare ad Ormoc, ma si verificò un ritardo dovuto a problemi di sicurezza nello scarico e nella distribuzione all’interno delle aree colpite dalla tragedia. Nei pressi del porto e nel centro commerciale di Ormoc vi erano tante persone in agitazione. Anche di giorno le vittime del tifone affamate e disperate avrebbero afferrato qualunque cosa senza ritegno dai passeggeri in arrivo e dalla gente per le strade affollate. Una situazione così disperata aveva diffuso la paura tra i cittadini più pacifici, tra cui mia sorella, che mi ordinò di ritardare l’invio fin quando i militari non avessero ripulito l’area del porto di Ormoc e le altre aree, centri di distribuzione degli aiuti.

Distribuzione degli aiuti

Siamo riusciti a imballare 240 buste in plastica di alimenti assortiti dalle 15 scatole donate da persone singole o gruppi. I beni impacchettati erano destinati principalmente alle vittime di Yolanda che vivevano nelle zone più remote del baranggay Labrador, a Ormoc. Un prete missionario aveva informato mia sorella di questo posto, la distribuzione ebbe luogo il 14 dicembre 2013, giorno stabilito in cui le vittime dovevano incontrare altre vittime della tragedia del super tifone Yolanda. Sarebbe stato difficile per me gestire questi aiuti da solo, ma grazie all’impegno di alcuni familiari, amici e membri della famiglia, il compito è stato svolto con maggiore facilità, trasformandosi in un’occasione di unione. Dal momento in cui non disponevamo di automobili da utilizzare durante la distribuzione, abbiamo noleggiato due tricicli a 250,00 pesos (circa 4,00€) ciascuno per trasportare passeggeri e alimenti. Gli autisti dei tricicli furono di grande aiuto per mantenere la pace e l’ordine durante la distribuzione.

Mentre ci dirigevamo alla zona di nostra priorità, ci imbattemmo in un gruppo di donne e bambini e fummo costretti a dare 20 scatole alle donne ed altre 15 ai bambini scalzi che elemosinavano cibo con insistenza. Non li conoscevamo nemmeno ma erano praticamente in lacrime quando strinsi le loro mani e mi indicarono da lontano le loro abitazioni devastate e rase al suolo. Nemmeno l’ombra di un oggetto risparmiato dall’ira del super tifone Yolanda. Da quanto ci dissero, da quasi un mese mangiavano e dormivano sulle macerie. Avevano cominciato a ricostruire le loro case utilizzando pezzi di legno ritrovati nelle macerie degli edifici vicini. Nonostante l’apparente situazione senza speranza, quasi tutti coloro che ho avuto modo di conoscere in questo breve incontro avevano ancora dentro di sé tanta speranza, a prescindere dalla preoccupazione per i lenti sforzi del governo locale nel fornire gratuitamente materiali da costruzione e mezzi di sostentamento alle famiglie vittime del tifone.

Dopo aver dato qualche pacco di aiuti a quel piccolo gruppo di persone lungo la strada principale, riprendemmo il nostro viaggio verso la zona remota del baranggay Labrador, a Ormoc. Mentre attraversavamo una strada rocciosa, mi resi conto che gli aiuti a disposizione non erano più sufficienti per il numero previsto di bisognosi che stavano pazientemente attendendo il nostro arrivo. Riguardando l’elenco calcolai che mancavano aiuti per circa 35 individui. Pertanto, arrivati sul posto, dovetti tristemente confessare alla popolazione locale che i nostri alimenti erano sufficienti solo per 205 persone. Per fortuna i loro capi escogitarono una soluzione accettabile per far fronte al problema: coloro che ricevevano un pacco di aiuti dovevano cedere un barattolo del cibo ricevuto che si andava ad aggiungere a quelli degli altri. Una volta raccolti tutti i 205 barattoli furono equamente divisi tra gli ultimi registrati, risolvendo così il problema della scarsità di aiuti. Così tutti furono resi felici, anche gli ultimi 35 registrati.

Un grazie infinite (daghang salamt) a voi che avete pregato per le vittime di Yolanda e generosamente donato loro il vostro tempo, i vostri sforzi e i vostri prodotti. Noi stiamo provando con tutte le nostre forze ad affrontare e superare ciò che ci è successo. Presto Ormoc e i suoi cittadini si rialzeranno ANCORA… Bamgon Ormoc ug Bangon Pilipinas!!!

……MABUHAY……

Traduzione dall’inglese di Francesca Vanessa Ranieri