Amnesty International ha pubblicato il rapporto 2013 sulla pena di morte. Ne parlo con Riccardo Noury, portavoce della sezione italiana; come dire parlo della pena di morte con la sezione della principale associazione per i Diritti Umani nel paese più tradizionalmente abolizionista; dico questo per rassicurare il pubblico italiano su alcune domande.

Riccardo, partiamo dall’Italia: secondo te da dove viene questa tradizione abolizionista, dall’aneddoto del Granduca di Toscana (primo monarca ad abolire la pena di morte) o da qualcosa di più recente e, magari, di più profondo?

Certamente, la vicenda del Granducato di Toscana ci dice che l’abolizionismo in Italia ha radici storiche profonde. Ma ad averlo diffuso nella società sono stati il pensiero giuridico e la letteratura. Inoltre, l’Italia è al centro di un sistema regionale abolizionista da decenni.

Il vostro rapporto parla di due tendenze opposte: aumento delle esecuzioni, diminuzione dei paesi che applicano la pena di morte: puoi approfondire questo aspetto?

In realtà, limitandosi solo ai numeri, le esecuzioni e i paesi sono aumentati rispetto al 2012: 778 in 22 paesi contro 663 in 21 paesi. L’aumento del numero delle esecuzioni note (ossia, senza i dati riferiti alla Cina e alla Corea del Nord) è da imputare a Iran e Iraq. Nel primo paese, abbiamo registrato 369 esecuzioni ufficiali ma aggiungendovi quelle perpetrate in segreto il totale arriva intorno alle 700 esecuzioni; nel secondo, le esecuzioni sono state almeno 169. In Iraq non si era mai usata tanto la pena di morte dai tempi di Saddam Hussein. Preferisco però vedere la situazione da un punto di vista diverso: per un paese che uccide i suoi cittadini in nome della giustizia ve ne sono nove che, in nome della giustizia, non uccidono.

Così come l’abolizionismo anche il favore alla pena di morte è trasversale: attraversa paesi di tutte le parti del mondo, paesi superindustrializzati e paesi considerati “arretrati”; coinvolge credenze religiose diverse, segni politici opposti; alla fine quali pensi siano le caratteristiche di fondo di un abolizionista e di uno a favore?

L’abolizionista pensa che lo stato debba essere sempre migliore, né uguale né peggiore, di un assassino. Chi è favorevole alla pena di morte ritiene che a un’uccisione si debba replicare con la stessa moneta.

Molti antichi sacri testi contemplano la pena di morte in alcuni casi. Eppure nessuna religione o spiritualità moderna la prende in considerazione. Possono i moderni leaders spirituali fare qualcosa di più a favore dell’abolizione? Sanare quest’apparente contraddizione a cui, spesso, si rifanno i fanatici? Vedi azioni in questo senso?

E’ vero, nessuna religione o spiritualità moderna è espressamente a favore della pena di morte. Però nei testi sacri (penso sia alla Bibbia che al Corano) ci sono frasi, interpretabili nel contesto storico, che danno corda ai fanatici di ogni parte. Spesso la pena di morte è praticata (o quanto meno invocata) in paesi nei quali il sentimento religioso è molto forte. Pensiamo al Giappone… Dobbiamo poi considerare le interpretazioni del Corano secondo le quali la pena di morte è necessaria a fronte di determinati comportamenti. Certo, i leader religiosi dovrebbero essere più costantemente presenti: non basta la dottrina abolizionista, occorrono interventi abolizionisti sia per salvare vite umane, sia per favorire leggi abolizioniste.

Recenti statistiche dimostrano che una comunità disinformata è più a favore della pena di morte e che un breve briefing sposta molta gente verso l’abolizionismo: stanno facendo abbastanza gli stati, la cultura, le scuole, i media nel senso dell’informazione?

Si dovrebbe fare di più, da ogni punto di vista. Gli stati non possono limitarsi ad alzare la mano una volta all’anno in sede di Assemblea generale dell’Onu. I media si occupano di pena di morte prevalentemente come argomento di cronaca, di fronte a casi-limite (un’esecuzione particolamente cruenta, un caso di palese innocenza, un periodo record trascorso in un braccio della morte) e mancano di raccontare la quotidianità della pena capitale. In generale, nel nostro paese si tende a pensare che – avendo noi abolito la pena di morte, e introdotto una garanzia costituzionale al riguardo – il problema sia finito. In questo modo si lascia campo libero all’invocazione, al desiderio di quella pena. Anche per questo è importante portare le ragioni abolizioniste nelle scuole, in quel luogo dove si forma la coscienza e la conoscenza.

Vogliamo spiegare, una volta di più, quei semplici motivi per essere contro la pena di morte senza se e senza ma?

La pena di morte non ha mai dimostrato di essere utile, è uno strumento demagogico di cattura del consenso elettorale o di distrazione da altri problemi. Ma anche se fosse utile, rimarrebbe l’argomento morale: lo stato non deve uccidere per insegnare che non si deve uccidere. Aggiungo che, facendo ricerche da molti anni sull’uso della pena di morte, in innumerevoli casi è emerso quanto la giustizia sia fallibile. Lasciare nelle mani della giustizia umana la decisione suprema di sopprimere il diritto alla vita di una persona è un atto ingiusto e irresponsabile.

Io e te siamo vecchi compagni di questa battaglia; a noi stessi e a tutti i generosi militanti che da tanti punti di vista si sono uniti in questa lotta per l’umano diritto di vivere e di redimersi possiamo mandare un messaggio di speranza? Ce la faremo a vedere abolita la pena di morte?

Sì. Su questo non ho dubbi. Quando abbiamo iniziato, tu e io, a occuparci di pena di morte, il numero dei paesi abolizionisti era grosso modo equivalente al numero di quelli che oggi la mantengono in vigore. Oggi la pena di morte è messa all’angolo e gli stati che la applicano suscitano una crescente riprovazione dal punto di vista politico e morale. Sono 22 su 193. L’anno prossimo scenderanno ancora e nel giro di pochi decenni la pena di morte risulterà inconcepibile, come la schiavitù o altre pratiche del passato, consegnate allo scantinato della Storia.