Susanna Sinigaglia, Ebrei arabi: terzo incomodo?, Zambon 2012

EBREI ARABI: TERZO INCOMODO?

A…A.V.V.

Progetto e cura di Susanna Sinigaglia

Presentazione di Wasim Dahmash

Zambon, 2012

 

Con una antologia di autori inediti, il libro “Ebrei arabi: terzo incomodo?”, a cura di Susanna Sinigaglia, cerca di teorizzare risposte relative all’irrisolto e complesso conflitto che degenera da anni nell’area più calda del Medioriente. Nella presentazione, Wasim Dahmash sottolinea ed evidenzia i processi che prevedono una società in cui cittadini “metropolitani” godono di diritti da cui gli indigeni sono esclusi. Si presuppone così una scala gerarchica in cui i quasi indigeni assimilati, ossia gli ebrei arabi, i cosiddetti mizrachi nel caso israeliano, occupano conseguentemente gli ultimi gradini della scala sociale, assieme agli indigeni di popolazioni altre; questi ultimi però da eliminare, secondo la logica nazionalista. Nella questione israelopalestinese entrano in gioco meccanismi concomitanti legati alla gestione sociopolitica dell’intera area mediorientale – sottolinea nell’introduzione Susanna Sinigaglia – per cui il peggioramento della situazione di fatto risulta funzionale al controllo dei territori e delle popolazioni, da parte dei potentati arabi, ma anche israeliani, entrambi sottoposti al controllo delle potenze coloniali e neocoloniali dell’Occidente, impegnate ad assicurarsi lo sfruttamento delle risorse energetiche e la spartizione mondiale del potere. Il saggio di Oren Yiftachel, con cui si è deciso di aprire questa antologia di testi inediti, relativi alla questione in oggetto, inquadra globalmente la problematica israelopalestinese, secondo un modello teorico ed interpretativo diverso, impostato sul concetto di regime “etnocratico” e fornisce una chiave di lettura differente dalla semplice contrapposizione senza vie di uscita fra israeliani e palestinesi. Come sottolineano infatti, a vari livelli, e con enfasi diverse, tutti i saggi proposti nel volume, il processo di dearabizzazione e giudaizzazione del territorio non coinvolge solo le popolazioni arabo-palestinesi, ma anche quelle arabo-ebraiche. La teorizzazione dell’etnocrazia inizia con l’identificazione delle principali forze politiche e storiche che modellano le strategie e il territorio di questo tipo di regime, in quanto società colonizzatrice, con un ben preciso e definito etnonazionalismo, fondato sulla logica del capitale, ossia una struttura etnica di classe che si impone nella gerarchia del gruppo dominante che, generalmente, occupa nicchie di privilegio, mentre gli immigrati sono emarginati dai centri del potere economico. La gerarchia etnocratica è un regime che cerca di estendere e conservare uno sproporzionato controllo etnico sul territorio multietnico conteso. Per sostituire gli indigeni con gli ebrei arabi immigrati e occultare, svilire e rendere marginale il passato palestinese, si impone una forma esclusiva di etnonazionalismo conservatore, con il mito della glorificazione della frontiera, per costruire l’identità nazionale ebraica e tali sentimenti si traducono in un pervasivo programma di socializzazione territoriale ebraico-sionista, che si esprime nei programmi scolastici, nei discorsi politici, nella musica popolare e in altre sfere pubbliche, per cui la colonizzazione continua ad essere una pietra angolare della costruzione nazionale sionista, fino ad arrivare alla segregazione intra-ebraica, sollevando appunto la questione chiave della società ebraica tra democrazia ed etnocrazia e tra etnocrazia e teocrazia, che si impone con un regime colonizzatore e segregazionista. Come ha denunciato Moni Ovadia, in una presentazione in pubblico di questo volume, l’area israelopalestinese risulta gravata da decenni di propaganda e menzogne per cui è difficile orientarsi. Gli Ebrei sono donne e uomini come tutti gli altri. Il Popolo ebraico è stato annientato dal razzismo, dal nazionalismo e dal potere, perché in realtà gli Ebrei, come anche i Rom e i Sinti, furono perseguitati, in quanto privi di una terra e di un territorio e rappresentavano un pensiero e un modo di vivere diverso e alternativo a quello imposto dalla cristianità e comunque non rientravano negli schemi, in quanto vittime di stereotipi secolari. Oltre alla propaganda israeliana, occorre comprendere che il vero nemico di Israele è chi ignora la situazione, ossia l’indifferenza per la sofferenza e le ideologie razziste e pararazziste che permeano l’umanità ad ogni latitudine e longitudine, ed in ogni tempo e periodo storico, nel grande limite umano della prevaricazione razzista sull’altro, identificato come capro espiatorio, nella corsa sfrenata per detenere il controllo e il potere assoluti, a discapito dei più deboli, nella protervia dell’arroganza dettata dal pregiudizio e dallo stereotipo razzista, dall’intolleranza e dalla discriminazione del proprio simile, nello svilimento della ragione e del lume dell’umanità.