Il 15 dicembre del 1993, venti anni fa, Silo scriveva ed inviava la sua decima “lettera ai miei amici” concludendo quella forma epistolare di analizzare il mondo e la vita che ha caratterizzato la sua opera in quegli anni, dal 1991 al ’93, appunto. “Ricevete, con questa ultima lettera, un grande saluto”.

Io ero nell’elenco di quegli amici, anche se l’effettiva vicinanza ed amicizia con lui, come si intende di solito l’amicizia, è arrivata sicuramente più tardi. Trepidanti attendevamo le sue lettere, sparsi nelle varie latitudini del mondo, cercando di cogliere ed applicare quelle analisi e quei suggerimenti, legati, come al solito, alla relazione tra personale e sociale, tra mondo interno e mondo esterno.

Eppure nemmeno il sottotitolo aggiunto, l’anno successivo, alle prime edizioni su carta del libro che raccoglie le 10 lettere “sulla crisi personale e sociale” riuscì  a chiarire, all’epoca, quello che forse adesso è fin troppo chiaro: l’incontrovertibile relazione tra l’azione individuale e quella sociale, la rigorosa struttura coscienza-mondo che sta alla base dell’analisi siloista del mondo.

Analisi ancora poco conosciuta; a chi legge quel libro ora forse alcune analisi risulteranno evidenti ma così non era, all’epoca, nemmeno per noi seguaci del Movimento Umanista: eppure più e più volte ho avuto, nella mia vita personale, la sensazione netta di ritrovarmi nelle situazioni di destrutturazione, di crisi, di perdita di riferimenti che le lettere descrivono così bene.

Ed ora, nel vedere gli indignati fare assemblee in piazza e in genere i giovani cercare nuove sintonie e nuove forme, mi è difficile non ricordare quando dice, nella Prima Lettera “Stanno anche sorgendo nuovi criteri d’azione perché molti problemi vengono compresi nella loro globalità  e perché coloro che desiderano un mondo migliore cominciano ad avvertire che otterranno dei risultati solo se dirigeranno i propri sforzi all’ambiente sul quale esercitano una certa influenza. A differenza di altre epoche piene di frasi vuote con cui si cercava il  riconoscimento degli altri, oggi si comincia a valorizzare il lavoro umile e sentito, attraverso il quale  non si pretende di esaltare la propria figura ma di cambiare se stessi e di facilitare il cambiamento del proprio ambiente familiare, lavorativo o  relazionale. Quanti amano realmente la gente non disprezzano questo compito senza fanfare, che risulta invece incomprensibile a tutti gli opportunisti formatisi nel vecchio paesaggio dei leader e delle masse, paesaggio in cui hanno imparato a utilizzare gli altri per essere catapultati verso i vertici sociali. Quando qualcuno si rende conto che l’individualismo schizofrenico non ha alcuna via d’uscita e comunica apertamente a quanti conosce ciò che pensa e ciò che fa senza il ridicolo timore di non essere capito; quando si avvicina agli altri; quando si interessa di ciascuno e non di una massa anonima; quando promuove lo scambio di idee e la realizzazione di lavori d’insieme; quando mostra chiaramente la necessità di moltiplicare gli sforzi per ridare connessione ad un tessuto sociale distrutto da altri; quando sente che anche la persona più “insignificante” è per qualità umana superiore a qualsiasi individuo senz’anima posto al vertice della congiuntura epocale… Quando succede tutto questo, è perché all’interno di quella persona inizia di nuovo a parlare il Destino che ha spinto i popoli a muoversi nel cammino dell’evoluzione; il Destino tante volte distorto e tante volte dimenticato, ma sempre ritrovato nelle svolte della storia! E non si intravede solo una nuova sensibilità e un nuovo modo di agire, ma anche un nuovo atteggiamento morale ed una nuova disposizione tattica nei confronti della vita”.

Ma, sicuramente, un punto che mi colpì in modo particolare era nella quarta lettera quando dà una definizione molto originale ed esistenzialista dell’Essere Umano:

“Quando mi osservo, non da un punto di vista fisiologico ma da un punto di vista esistenziale, riconosco di trovarmi in un mondo già dato, da me né costruito né scelto,  di trovarmi in-situazione nei confronti di fenomeni che, a partire dal mio proprio corpo, mi risultano ineludibili. Il corpo, poi, come elemento costitutivo della mia esistenza è un fenomeno omogeneo al mondo naturale sul quale agisce e dal quale è “agito”. Ma la naturalità del corpo mi si presenta  molto diversa da quella  di tutti gli altri fenomeni naturali; infatti: 1.  del corpo ho un vissuto diretto, immediato; 2. attraverso il corpo ho un vissuto dei fenomeni esterni;  3. grazie alla mia intenzione, ho una disponibilità immediata di alcune delle operazioni che il corpo è in grado di compiere.”

 “Il mondo, d’altra parte,  mi si presenta non tanto come un agglomerato di oggetti naturali bensì come un’articolazione di esseri umani e di oggetti e segni da essi prodotti o modificati. L’intenzione che avverto in me mi appare come un elemento interpretativo fondamentale del comportamento degli altri; e proprio come costituisco il mondo sociale comprendendone le intenzioni, così da esso sono costituito. Ovviamente stiamo parlando di intenzioni che si manifestano attraverso azioni corporee. È’ grazie alle espressioni corporee o alla percezione della situazione in cui l’altro si trova  che posso comprenderne i significati, le intenzioni. Inoltre, gli oggetti naturali e quelli umani mi producono o piacere o dolore;  per questo cerco sempre di modificare la mia collocazione rispetto ad essi, nel senso che cerco di allontanarmi da ciò che mi risulta doloroso e di avvicinarmi a ciò che mi risulta piacevole.”

“Pertanto non sono affatto chiuso al mondo naturale ed umano: anzi, la mia caratteristica fondamentale è precisamente l'”apertura”. La mia coscienza si è configurata su una base intersoggettiva: usa codici di ragionamento, modelli emotivi, schemi di azione che sento come “miei” ma che riconosco anche in altri. E, ovviamente, il mio corpo è aperto al mondo in quanto il mondo io lo percepisco e su di esso agisco. Il mondo naturale, a differenza dell’umano, mi appare privo di intenzioni. Posso – è ovvio – immaginare che le pietre, le piante o le stelle possiedano un’intenzione, ma in ogni caso, un effettivo dialogo con esse mi risulta impossibile. Anche gli animali, nei quali a volte scorgo la scintilla dell’intelligenza, mi appaiono impenetrabili, soggetti a trasformazioni lente e sempre all’interno di quella che è la loro natura. Vedo società di insetti totalmente strutturate e mammiferi superiori che usano rudimenti tecnici, ma tutti ripetono i loro codici come se fossero sempre i primi rappresentanti delle loro rispettive specie. E nelle virtù dei vegetali e degli animali modificati ed addomesticati dall’uomo, riconosco l’intenzione umana ed il suo avanzare nell’opera di umanizzazione del mondo.”

“Definire l’uomo sulla base della socialità mi risulta insoddisfacente in quanto questo aspetto è comune a numerose specie animali; né la sua caratteristica fondamentale può essere trovata nella capacità  lavorativa perché esistono  animali che possiedono questa capacità ad un livello molto superiore; né a definire l’essenza umana  basta il linguaggio, perché sappiamo che in varie specie animali esistono codici e forme di comunicazione. In cambio, nel fatto che ogni nuovo essere umano trova un mondo modificato da altri e viene costituito da un mondo sempre intenzionato, scopro la capacità più propriamente umana di accumulare ed incorporare la dimensione temporale; scopro cioè  la dimensione storico-sociale e  non semplicemente sociale dell’essere umano. Date queste premesse, tenterò una definizione. Questa: “L’uomo è un essere storico che trasforma la propria natura attraverso l’attività sociale.” Ma se ammetto come valida questa definizione, dovrò ammettere che l’essere umano può trasformare intenzionalmente anche la propria struttura fisica. Ma questo sta già accadendo. L’uomo ha iniziato tale processo utilizzando  “protesi” esterne, cioè degli strumenti posti davanti al suo corpo, che gli hanno permesso di  ampliare le funzioni delle mani, di affinare i sensi, di aumentare la potenza e la qualità del suo lavoro. Dal punto di vista naturale, l’uomo non era adatto alla vita nell’acqua o nell’aria, ciò nonostante è stato capace di creare le condizioni per muoversi in esse ed oggi sta addirittura iniziando a dar forma concreta ad una possibilità estrema, quella di  emigrare dal proprio ambiente naturale, il pianeta Terra. Oggi, inoltre, l’uomo  sta intervenendo sul suo stesso corpo sostituendone gli organi, modificando la chimica cerebrale, sviluppando la fecondazione in vitro, manipolando i geni. Se con l’idea di “natura” umana si è voluto indicare ciò che c’è di stabile nell’essere umano, tale idea oggi risulta inadeguata, anche se la si applica alla parte più oggettuale dell’essere umano stesso, vale a dire il corpo. Per quando riguarda poi la validità di espressioni quali “morale naturale”, “diritto naturale”, o “istituzioni naturali”, riteniamo che in questi campi tutto sia storico-sociale e nulla vi esista “naturalmente”.”

 

Infine ci sarebbe da citare per intero la sesta lettera che configura il Documento del Movimento Umanista e dove si definisce con grande chiarezza il ruolo del denaro, della speculazione finanziaria, dell’indebitamento con una capacità di prevedere cose che ora sono diventate evidenti; come evidente è diventata l’espropriazione della politica.

 

“L’umanità, nel suo lento progresso, ha bisogno di trasformare la natura e la società eliminando gli atti di appropriazione violenta e animalesca che alcuni esseri umani esercitano nei confronti di altri. Quando questo accadrà, si passerà dalla preistoria ad una storia pienamente umana. Fino a quel momento, non si potrà partire da nessun altro valore centrale che non sia l’essere umano completo, con le sue realizzazioni e la sua libertà.  Per questo gli umanisti dichiarano: “Niente al di sopra dell’essere umano e nessun essere umano al di sotto di un altro”. Ponendo Dio, lo Stato, il Denaro o una qualunque altra entità come valore centrale, si colloca l’essere umano in una posizione subordinata, e si creano così le condizioni perché possa essere  controllato o sacrificato. Gli umanisti hanno ben chiaro questo punto. Gli umanisti possono essere sia atei che credenti, ma non partono dalla fede per dare fondamento alle loro azioni e alla loro visione del mondo: partono dall’essere umano e dai suoi bisogni più immediati. E, se nella lotta per un mondo migliore, credono di scoprire un’inten­zione che muove la Storia in una direzione di progresso, mettono una tale fede o una tale scoperta al servizio dell’essere umano. Gli umanisti pongono il problema di base che è questo: sapere se si vuole vivere e in che condizioni si vuole farlo.”

“Qualsiasi forma di violenza – fisica, economica, razziale, religiosa, sessuale, ideologica – attraverso cui il progresso umano è stato bloccato, ripugna agli umanisti. Qualsiasi forma di discriminazione – manifesta o larvata – costituisce per gli umanisti un motivo di denuncia.”

“Gli umanisti non sono violenti, ma soprattutto non sono codardi e non hanno paura di affrontare la violenza perché sanno che le loro azioni hanno un senso. Gli umanisti collegano sempre la loro vita personale con quella sociale. Non propongono false antinomie e in ciò risiede la loro coerenza.”

“Risulta così tracciata la linea di demarcazione tra l’Umanesimo e l’Anti-umanesimo. L’umanesimo pone al primo posto il lavoro rispetto al grande capitale; la  Democrazia reale rispetto alla Democrazia formale; il decentramento rispetto al centralismo; la non-discriminazione rispetto alla discriminazione;  la libertà rispetto all’oppressione; il senso della vita rispetto alla rassegnazione, alla complicità e all’assurdo.”

E, sulla situazione economica e l’irrazionalismo avanzante sembrano parole di oggi quelle che trascrivo qui sotto:

“Il grande capitale ha ormai superato lo stadio dell’economia di mercato e cerca di disciplinare la società per far fronte al caos che esso stesso ha generato. A contrastare questa situazione di irrazionalità non si levano – come imporrebbe una visione  dialettica – le voci della ragione; sorgono, invece, i più oscuri razzismi, integralismi e fanatismi. E se il neo-irrazionalismo prenderà il sopravvento in intere regioni e collettività, il margine d’azione delle forze progressiste finirà per ridursi sempre di più. D’altra parte, però, milioni di lavoratori hanno ormai preso coscienza sia dell’assurdità del centralismo statale che della falsità della democrazia capitalista. E’ per questo che gli operai si ribellano contro i vertici corrotti dei sindacati, e che interi popoli mettono in discussione i loro partiti ed i loro governi. Ma è necessario dare orientamento a fenomeni come questi che tendono ad esaurirsi in uno sterile spontaneismo. E’ necessario discutere in seno al popolo il tema fondamentale dei fattori della produzione.”

“Per gli umanisti i fattori della produzione sono il lavoro ed il capitale, mentre la speculazione e l’usura sono di troppo. Nell’attuale situazione gli umanisti lottano per trasformare radicalmente l’assurdo rapporto che si è instaurato tra questi due fattori. Fino ad oggi è stata imposta questa regola: il profitto al capitale ed il salario al lavoratore. E lo squilibrio tra le due remunerazioni è stato giustificato con l’argomento del “rischio” che l’investimento comporta. Come se il lavoratore non mettesse a rischio il suo presente e il suo futuro nei flussi e riflussi della disoccupazione e della crisi. Ma c’è un altro elemento in gioco, ed è il potere di decisione e di gestione dell’azienda. Il profitto non destinato ad essere reinvestito nell’azienda, non diretto alla sua espansione o diversificazione, prende la via della speculazione finanziaria. E la stessa via della speculazione finanziaria la prende il profitto che non crea nuovi posti di lavoro.”

E, sempre dal Documento, mi risuonano con forza queste parole:

“Gli umanisti sono donne ed uomini di questo secolo, di quest’epoca. Ritrovano nell’Umanesimo storico le proprie radici e si ispirano agli apporti di diverse culture e non solo di quelle che in questo momento occupano una posizione centrale. Sono inoltre uomini e donne che si lasciano alle spalle questo secolo e questo millennio e che si lanciano verso un mondo nuovo.”

“Gli umanisti sentono che la  storia che hanno alla spalle è molto lunga e che quella   futura lo sarà  ancora di più. Pensano all’avvenire mentre lottano per superare la crisi generale del presente. Sono ottimisti, credono nella libertà e nel progresso sociale.”

“Gli umanisti sono internazionalisti, aspirano ad una nazione umana universale. Hanno una visione globale del mondo in cui vivono ma  svolgono la loro attività negli ambiti a loro più vicini. Non desidera­no un mondo uniforme bensì multiforme: multiforme per etnie, lingue e costumi; multiforme per paesi,  regioni, località; multiforme per idee e aspirazioni; multiforme per credenze, dove abbiano posto l’ateismo e la religiosità; multiforme nel lavoro; multiforme nella creatività.”

“Gli umanisti non vogliono padroni; non vogliono dirigenti né capi, e non si sentono rappresentanti o capi di alcuno. Gli umanisti  non vogliono uno Stato centralizzato né uno Stato parallelo che lo sostituisca. Gli umanisti non vogliono eserciti polizieschi né bande armate che ne prendano il posto.”

“Ma tra le aspirazioni degli umanisti e la realtà del mondo d’oggi si è alzato un muro. E’ ormai giunto il momento di abbattere questo muro. Per farlo è necessaria l’unione di tutti gli umanisti del mondo.”

Le “lettere ai Miei Amici” sono liberamente scaricabili su http://www.silo.net e sono pubblicate in Italia dall’Associazione Multimage