Di Conn Hallinan

 

Mentre gli Stati Uniti e i loro alleati si preparano per un altro giro di negoziati con  l’Iran sul suo programma nucleare, gli oppositori ricchi e potenti – dalle sale del Congresso alle capitali del Medio Oriente – stanno manovrando per silurarli. In ballo c’è la reale possibilità di una guerra con conseguenze infinitamente maggiori dell’invasione dell’Iraq del 2003.

 

Quando gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, la Francia, la Gran Bretagna e la Germania – i cosiddetti P5+1- si siederanno con i negoziatori a Ginevra il 7 novembre – quei colloqui saranno offuscati da un’alleanza di aggressivi membri del Congresso degli Stati Uniti, di un’influente lobby israeliana e di una nuova alleanza regionale che  abbatte  nemici e amici tradizionali in Medio Oriente.

Il fatto che la prima fase di colloqui sia stata salutata dall’Iran e dai P5+1 come “positiva” ha stimolato  gli oppositori dei negoziati che si stanno muovendo per bloccare qualsiasi tentativo di sanzioni internazionali contro Teheran,  mentre allo stesso tempo fanno pressioni per una soluzione militare al conflitto.

Le attuali sanzioni internazionali hanno dimezzato la quantità di petrolio che l’Iran vende sul mercato internazionale, hanno impedito a  Teheran investimenti  bancari internazionali, e hanno profondamente danneggiato l’economia iraniana. Le condizioni economiche in peggioramento sono    lo scenario della recente elezione del pragmatico Hassan Rowhani a presidente dell’Iran. I successivi tentativi di Hassan per allontanarsi dalla politica aggressiva dell’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad, sembra che siano un segnale che l’Iran vuole risolvere pacificamente una crisi che ha     accresciuto le tensioni nella regione e ha causato tutto, dall’assassinio degli scienziati iraniani alla prima guerra “cibernetica” del mondo.

Il problema centrale è se l’Iran stia costruendo un’arma nucleare in violazione del Trattato di Non Proliferazione, un’accusa che Teheran nega. L’Iran è un paese firmatario del TNP e gli ispettori dell’ONU monitorano regolarmente le centrali elettriche civili e gli impianti nucleari. Il combustibile potenziato è necessario per centrali elettriche civili e per la ricerca medica, ma è anche un ingrediente essenziale per le armi nucleari. L’Iran potenzia una parte del suo combustibile  del 20%. Il combustibile per le bombe deve essere puro al 90%.

Mentre nessuno sostiene che l’Iran ha un’arma nucleare, Teheran è stata meno che sincera riguardo a tutte le sue attività e alle accuse dei critici che l’Iran si stia preparando a costruirne una. Gli iraniani però dicono che la segretezza è necessaria – quattro dei loro scienziati nucleari sono stati assassinati

da agenti israeliani, e la loro industria nucleare è stata gravemente danneggiata da un attacco cibernetico congiunto israelo-statunitense.

I negoziati imminenti tenteranno di trovare un terreno comune, ma ci sono attori in questo dramma la cui agenda ha meno a che vedere con le armi nucleari che con  il mutevole  equilibrio di potere in Medio Oriente. La coalizione contraria a una risoluzione pacifica della crisi attuale è un misto di falchi tradizionali e di strani soci.

Da parte  degli Stati Uniti c’è i soliti sospetti.

Ci sono i neoconservatori che hanno fatto pressioni così  forti per invadere l’Iraq, compreso l’ex ambasciatore statunitense John Bolton che di recente ha chiesto che Israele invada l’Iran, l’ex analista del Pentagono Matthew Kroenig, Gary Schmitt della fondazione denominata American Enterprise Institute, e lo storico Niall Ferguson.

A loro si sono uniti i falchi del Congresso che vanno dai tipi tradizionali che dicono “non abbiamo mai visto una guerra che non ci piacesse” – per esempio il senatore repubblicano Lindsey Grham che programma di introdurre una risoluzione che autorizzi l’uso della forza militare contro l’Iran – ai Democratici come il liberale Ron Wyden sostenitore di una proposta di legge che esorterebbe gli Stati Uniti a dare aiuto militare a Israele se Tel Aviv attaccasse l’Iran.

Un simile cast di personaggi nel 2010 ha contribuito ad affondare un’iniziativa di pace turco-brasiliana grazie alla quale il combustibile potenziato di Teheran sarebbe stato inviato  a una terza nazione.

Il Comitato Israeliano Americano per gli Affari Pubblici (AIPAC – American Israel Public Affairs Committee) sta facendo pressioni sul Congresso nel tentativo di tenere a freno le opzioni di negoziati dell’amministrazione Obama, e incoraggiando il senato ad approvare una legge che fondamentalmente impedirebbe all’Iran di non vendere affatto il suo petrolio. Molti al Congresso hanno adottato la richiesta del governo israeliano che l’Iran smantelli gran parte della sua industria nucleare e accetti di porre fine a tutte le attività di potenziamento, due cose che quasi certamente Teheran rifiuterà di fare.

Mentre il potenziamento non è specificamente nominato nel Trattato di Non Proliferazione, l’articolo IV del documento garantisce il diritto a “sviluppare la ricerca, la produzione e l’uso dell’energia nucleare,” che i firmatari del trattato hanno a lungo interpretato  come il diritto a produrre combustibile per l’energia nucleare civile.

Il governo israeliano e i suoi sostenitori americani chiedono una fine del potenziamento, una richiesta che manderebbe all’aria i negoziati. Finora l’amministrazione Obama è rimasta zitta su questo problema, sebbene nel 2009 l’allora senatore e ora Segretario di Stato,  John Kerry, ha detto al Financial Times che chiedere all’Iran di porre fine al potenziamento  era “ridicolo.”

Gli oppositori statunitensi di qualsiasi patto che non sia una resa abietta a Teheran, sono sempre gli stessi vecchi, ma non è così in Medio Oriente dove un alleanza formatasi di recente si sta mobilitando per    far deragliare i colloqui sul nucleare:le monarchie del Golfo, l’Egitto e Israele.

Il cardine di questa nuova alleanza è costituito da Arabia Saudita e Israele, e il loro obiettivo è qualsiasi riavvicinamento tra Washington e Teheran. Secondo l’agenzia di stampa UPI [United Press Internationa], “gli incontri segreti tra i capi dell’intelligence israeliana e araba” e altri “funzionari importanti” si sono tenuti in Giordania per vari anni. Il loro scopo, secondo l’ambasciatore israeliano negli Stati Uniti Michael Oren, è di destabilizzare la cosiddetta “mezzaluna sciita” l’ “arco strategico che si estende da Teheran a  Damasco e a Beirut.” Anche il governo iracheno dominato dagli sciiti, attualmente assediato dagli estremisti sunniti, è al centro dell’interesse.

La nuova alleanza sta facendo la sua prima esperienza diplomatica con il recente colpo di stato militare in Egitto. Secondo il giornalista investigativo Robert Perry, “Mentre l’Arabia Saudita ha assicurato al regime del golpe un flusso regolare di denaro e di petrolio, gli israeliani hanno cominciato a darsi da fare attraverso la loro lobby di Washington per assicurarsi che il presidente Barack Obama  e il Congresso non dichiarino che  il colpo di stato era un colpo di stato innescando così un’interruzione degli aiuti militari dagli Stati Uniti.

I sauditi stanno  anche incrementando il loro appoggio agli insorti che si oppongono al governo in Siria e fomentando il caos settario in Libano. Se l’alleanza riuscirà, cementerà  un regime autoritario appoggiato dai militari in Egitto, incendierà il Libano, la Siria, e l’Iraq con le guerre settarie e saboterà qualsiasi accordo  tra gli Stati Uniti e l’Iran.

Mentre all’inizio l’alleanza tra Arabia Saudita e Israele sembra strana, in effetti entrambi i paesi hanno obiettivi strategici simili.  Entrambi appoggiano la deposizione del regime di Assad, entrambi vogliono indebolire il partito  Hezbollah con base sciita, in Libano entrambi vogliono vedere la minoranza sunnita irachena di nuovo in carica, ed entrambi considerano l’Iran una minaccia.

I sauditi e i loro alleati nel Consiglio di Cooperazione del Golfo – gli Emirati Srabi Uniti, il Kuwait, l’Oman, il Bahrein, il Qatar, e i nuovi membri, Giordania e Marocco – temono disordini interni e considerano la Primavera Araba una minaccia diretta ai loro governi monarchici. Mentre tutti questi paesi hanno delle forze armate, esse servono principalmente  a reprimere il dissenso interno. L’ultima volta che i sauditi sono entrati in guerra, sono stati battuti dall’armata brancaleone del gruppo di insorti  Houthi nello Yemen del Nord.

Il Consiglio di Cooperazione del Golfo forse schiera degli eserciti inetti, ma ha un sacco di soldi. E quando si tratta di forza, chi meglio può fornirla se non gli israeliani, che hanno l’esercito più potente e competente nella regione? Mentre gli Stati Uniti sembra che siano restii ad usare la forza contro l’Iran, il governo di Netanyahu ha decisamente aumentato la sua retorica anti-iraniana. Israele ha di recente iniziato una serie di giochi di guerra fatti di bombardamenti a lunga distanza del tipo che sarebbe necessario per attaccare l’Iran.

Sembra che gli iraniani vogliano un accordo, ma non un accordo che sembri una resa. I commenti positivi dell’amministrazione Obama seguiti all’ultima fase di colloqui, fanno pensare che anche  a Washington piacerebbe una via di uscita. E’ essenziale per questo  diminuire  alcune delle sanzioni, ma i falchi del Congresso stanno cercando di rovinare le cose, incrementando le sanzioni e opponendosi a qualsiasi tentativo di ridurle.

Uno studio fatto alla fine dello scorso anno, ha rilevato che, a meno che Washington e i suoi alleati diminuiscano le sanzioni, non è probabile che l’Iran limiti nessuno dei suoi programmi nucleari. E questa primavera un comitato di membri della maggioranza e dell’opposizione di ex funzionari e di esperti statunitensi, hanno sostenuto che le sanzioni sono sempre più controproducenti.

Contrapporsi all’alleanza anti-iraniana non sarà facile, ma la riluttanza di Washington  a iniziare un’altra guerra in Medio Oriente, riflette un sentimento anti-bellico in patria. Forse i falchi vogliono una guerra, ma troveranno poco appoggio in proposito tra gli americani. Un sondaggio della rete televisiva americana CBS e del New York Times ha rilevato che gli Americani nella stragrande maggioranza appoggiano i negoziati, non sono avidi di guerra e sono anche divisi riguardo ad andare in aiuto di Tel Aviv se ci fosse un attacco israeliano.

L’AIPAC è influente ma non rappresenta certo tutti gli ebrei americani, che tendono ad appoggiare Israele, ma non se questo significa fare guerra all’Iran. Mentre l’AIPAC divulgava la definizione fatta da Netanyahu di Rowhani come “pecora vestita da lupo”, la lobby liberale ebraica denominata  J Street lo ha salutato come “un probabile  segno di speranza,” e si oppone a un attacco militare contro l’Iran.

La nuova alleanza in Medio Oriente ha allontanato la Turchia che ha ancora un ruolo fondamentale   nella regione, anche se  piuttosto ridotto. Se gli Stati Uniti dovessero aprire un dialogo con la Russia e cercare di far entrare nel processo la Turchia, quel raggruppamento tripartito costituirebbe un contro bilanciamento rispetto alle monarchie e a Israele, e allontanerebbe la regione dal potere crescente dei gruppi settari e dal pericolo imminente di un’altra guerra.

 

Fonte: http://www.zcommunications.org/torpedoing-the-iran-nuclear-talks-by-conn-hallinan

Originale: Dispatches From the Edge

Traduzione di Maria Chiara Starace

Traduzione © 2013  ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC  BY – NC-SA  3.0