Abbiamo intervistato Coboldo Melo,  Presidente del Conacreis, sulla proposta di legge sulle comunità intenzionali.

Chi sei e di che cosa ti occupi?

Sono diventato presidente di Conacreis nel dicembre 2011. Vivo a Damanhur da 29 anni e per diverso tempo mi sono occupato di politica e dell’ufficio stampa damanhuriano. Oltre a Conacreis mi occupo del nostro Movimento politico, un’Associazione che si chiama “Con Te, per il Paese”, della quale fanno parte anche un Sindaco e 20 consiglieri comunali di cinque piccoli paesi del Canavese.
La socialità dal punto di vista della vita comunitaria è uno degli argomenti che ho approfondito maggiormente negli ultimi vent’anni e così mi occupo anche di conferenze, corsi e seminari sul tema della creazione di Comunità intenzionali.

Il Conacreis ha lanciato nel 1998 una legge sulle comunità intenzionali. Ci puoi spiegare meglio che cos’è il Conacreis, di cosa si occupa e perchè ha lanciato questa proposta di legge?
Conacreis è una rete d’associazioni, ecovillaggi e comunità che si occupano di ricerca etica, interiore e spirituale. L’idea nasce nel 1998 dalla lunga esperienza di convegni e incontri tra gruppi italiani e d’altri Paesi, gruppi spesso costretti a cercare soluzioni di ripiego nella relazione con le istituzioni pubbliche. In quel periodo esistevano due sole possibilità: scegliere la generica identità d’associazione culturale oppure far parte di un’associazione sportiva. Noi volevamo che tutti potessero vivere le loro esperienze alla luce del sole, dando un nome alle situazioni vissute, dalle tecniche di meditazione alla medicina olistica, fino alla vita comunitaria. Oggi Conacreis rappresenta un mondo ampio d’esperienze e soluzioni che tutti possono conoscere e condividere e i soci possono contare su servizi utili e vantaggiosi, dall’assicurazione alle consulenze fornite da legali e commercialisti specializzati.
Nel 1999 abbiamo proposto una bozza di proposta di legge alle altre comunità e ai primi ecovillaggi, proprio con l’obiettivo di stabilire un corretto rapporto con lo Stato; anche in questo caso si tratta di dare dignità alle scelte di vita, evidenziando l’utilità delle esperienze comunitarie rispetto a territori spesso poco abitati o in abbandono, senza contare il recupero di antichi mestieri, l’utilizzo di energie rinnovabili, il minore costo sanitario grazie a scelte di vita sane e all’impiego delle medicine naturali. Il vecchio testo, rivisto più volte, è diventato la proposta di legge n. 3891/2010 per il Riconoscimento e disciplina delle comunità intenzionali.

A che punto è la campagna? Cosa può fare ogni singola persona per appoggiarla?
Insieme abbiamo discusso e concordato un testo che oggi è proposta di legge depositata in Parlamento. Ora dobbiamo affrontare il passaggio più impegnativo della discussione nelle Commissioni di lavoro competenti, fino al voto in aula per l’approvazione della legge. Servono parlamentari attenti e sensibili, disponibili a seguire passo a passo l’iter della discussione. Una legge che riconosce personalità giuridica alle comunità intenzionali colma un vuoto legislativo che spaventa molte persone interessate a vivere queste esperienze e fornisce agli Enti pubblici gli strumenti per stabilire un rapporto corretto con cittadini che hanno diritti e doveri come tutti. Il pensiero di chi vuole collaborare a questa fase è davvero gradito, così come sono importanti contatti con parlamentari interessati a dare una mano e va benissimo anche una buona spinta per sensibilizzare l’opinione pubblica. In un momento così difficile per economia e relazioni sociali è importante poter praticare altre soluzioni che garantiscono maggiori risparmi, minori sprechi, migliore rispetto per l‘ambiente e le relazioni umane.

Di cosa parliamo quando parliamo di una comunità intenzionale?
Una comunità intenzionale è fatta di persone che scelgono liberamente la qualità della loro vita rispetto ad un territorio. Significa scegliere quale relazione vogliamo avere con altri individui, con lavoro, economia, cibo, educazione scolastica, arte e tutto senza lasciare esclusivamente ad altri le soluzioni tecniche, culturali e pratiche. In sostanza, con tutti i pregi e i difetti delle nostre scelte, significa vivere da protagonisti le possibilità che la vita riserva, anziché subire passivamente usi e costumi imposti da una cultura sempre decisa altrove.

 Un vecchio mondo è andato in crisi da tempo; tra le istituzioni andate in crisi c’è la famiglia come classico esempio di comunità “naturale”; il problema, mi pare, è che dopo la destrutturazione della famiglia non abbiamo un mdello di comunità che l’abbia sostituita a livello di massa. Siamo ancora nel guado?
In fondo potremmo paragonare certi modelli sociali all’acqua, come elemento che non può essere contenuto eternamente in spazi rigidi e, per questo trova sempre una sua strada.
L’aumento di scolarizzazione e cultura e la maggiore indipendenza economica hanno messo in crisi i modelli familiari nell’arco di poche decine di anni. Molti giovani hanno cercato la loro autonomia mimetizzandosi nell’anonimato delle grandi città, ma i nodi delle relazioni formali tra individuo e autorità centrale sono rimasti inalterati. Da questo punto di vista noi “spiriti liberi” siamo ancora tutti in mezzo al guado, mentre le istituzioni sono ferme sulla riva e guardano costantemente altrove. Serve uno sforzo importante e collettivo per affermare diritti civili riconosciuti solo in pochi paesi del mondo.

Le tendenze degli ultimi tempi, anche a livello politico ed istituzionale, parlano di un’accelerazione nel senso del riconoscimento di legam, come quelli omosessuali, che prima erano semplicemente tabù; e del riconoscimento dei diritti corrispondenti. La vostra iniziativa vuole dare un passo più in là?

Con la nostra iniziativa vorremmo aprire una strada non solo ideale verso il superamento dell’idea stessa del riconoscimento di alcuni diritti specifici.
Il laboratorio sociale costituito, ad esempio, dalla vita comunitaria è fatto di rispetto, amore vissuto come apertura e comprensione e non come scambio, parità reale tra individui: è una vita molto concreta, che si basa sulla possibilità di elevazione spirituale per tutti gli esseri umani, al di là dei generi.

Damanhur ha da tempo sperimentato modelli di comunità diversi da quelli tradizionali; sicuramente ha esperienza in materia. Cosa puoi dire di questa esperienza e come si può condividerla?
La libertà oltre gli schemi tradizionali a volte costa fatica e delusioni, mentre altre volte fa vivere passioni e incredibili avventure: la vita comunitaria accelera e concentra tutte queste esperienze, come forse non riusciremmo a vivere in più incarnazioni. Noi damanhuriani pensiamo sia giusto condividere tutto questo con chi è interessato e così siamo disponibili a parlarne in conferenze, incontri, corsi o convegni, per lasciare entrare anche altri nel nostro mondo e, più ancora, per fare un pezzo di strada insieme a partire dal prossimo istante.