Un’immagine tratta dal film “My Child” di Can Candan

di Alberto Tetta

Un documentario dà voce ai familiari di persone lesbiche, gay, bisessuali e trans in Turchia. “Il mio bambino” è un lavoro intenso che sta ricevendo sempre più ascolto. Abbiamo incontrato il suo regista, Can Candan

“Mia figlia è transessuale, vengo da Adana”, la giovane donna in una delle prime file del cinema Fitaş di Istanbul riesce a pronunciare solo queste poche frasi prima di scoppiare in lacrime: “Da quando mia figlia, che ora è un’attivista Lgbt, mi ha parlato del suo disagio la nostra vita si è fatta durissima, ma io ho deciso di stare al suo fianco, tuttavia se io non avessi conosciuto genitori come quelli di cui parla questo film non ce l’avrei mai fatta”.

Al termine della proiezione di Benim cocuğum, Il mio Bambino, il documentario di Can Candan che dà voce agli attivisti di Listag – l’associazione dei familiari delle persone lesbiche, gay, bisessuali e trans – il microfono passa di mano in mano in una sala gremita di spettatori, tutti hanno qualcosa da dire, per molti riuscire a parlare per la prima volta pubblicamente della propria esperienza di genitori è una liberazione.

“La decisione di fare questo documentario è il risultato di un incontro. Nell’ottobre del 2010 ho conosciuto le famiglie dell’associazione Listag a una conferenza all’Università del Bosforo dove raccontavano la loro esperienza, ero tra gli spettatori e le storie di queste persone mi hanno profondamente colpito – racconta il regista Can Candan a Osservatorio Balcani e Caucaso – le loro parole mi hanno fatto pensare al rapporto con i miei genitori, ma anche a quello con mio figlio e a cosa significa lottare, soprattutto in una società come questa, contro l’omofobia e la transfobia. Al termine dell’incontro mi sono presentato e ho proposto alle famiglie di fare un documentario assieme, la loro risposta è stata positiva fin da subito perché avevano già in mente un progetto simile dopo aver visto due anni prima, durante un viaggio in Italia, un film su un’associazione di genitori di persone Lgbt, l’Agedo , che li aveva molto colpiti. Lavorare assieme è stato facile fin da subito perché le famiglie erano già pronte ad esporsi”.

MyChild

Il trailer di Il mio bambino , film di Can Candan

Davanti ai propri pregiudizi

L’obiettivo del documentario, che è stato proiettato per la prima volta il mese scorso nell’ambito del Festival internazionale del cinema indipendente di Istanbul, in più di 32 città e visto da 2100 persone in una sola settimana, è mettere gli spettatori e la società turca davanti ai propri pregiudizi.

“Il mio film ha avuto una risposta molto buona da parte del pubblico – spiega Candan – le persone rimangono molto colpite e si interrogano su cosa vuole dire essere un uomo o una donna e sulla loro identità di genere. C’è chi ci dice che non guarderà più alla società con gli stessi occhi, chi di essersi reso conto della propria omofobia e transfobia e c’è persino chi ha deciso di fare opening portando i propri genitori a vedere il film”.

Se i media e l’opinione pubblica discutono molto di più rispetto al passato della condizione delle persone omosessuali, bisessuali e trans, secondo il regista tuttavia la strada da fare rimane ancora molto lunga: “I diritti civili sono all’ordine del giorno come non lo sono mai stati prima e questo è il risultato di decenni di lotte delle associazioni Lgbt, una lotta di cui questo documentario e il lavoro di Listag è solo una parte. Questo ci dà molta speranza, tuttavia non dobbiamo dimenticare che tutti i giorni le persone Lgbt continuano ad essere aggredite, insultate e discriminate”.

Nessun diritto, nessuna tutela

Sebbene in Turchia non esistano leggi che vietano i rapporti omosessuali, i parlamentari del conservatore Partito della giustizia e dello sviluppo di Recep Tayyip Erdoğan, al governo dal 2002, si sono opposti fino ad ora a qualsiasi norma a favore dei diritti delle persone Lgbt e che punisca i crimini di matrice omofoba. A maggio una proposta presentata dal filo-curdo Partito della democrazia e della pace e sostenuta dal principale movimento d’opposizione, il Partito repubblicano del popolo per inserire nella nuova costituzione una norma che vieti qualsiasi tipo di discriminazione in base all’orientamento sessuale è stata bocciata per il voto contrario del partito di Erdoğan.

Negli ultimi anni, sono state molte le vittime della violenza omofoba assassinate da uno dei genitori o da familiari perché gay. Tra questi Ahmet Yıldız, freddato dal padre con un colpo di pistola in un caffè sul Bosforo, il 15 luglio 2008, o il diciassettenne R.A. ucciso lo scorso luglio a Diyarbakir dal padre e dallo zio dopo che avevano scoperto che era gay. Ma sono i transessuali le principali vittime della violenza omofoba: il 10 marzo scorso, Seda, una giovane transessuale, trovata in fin di vita nel quartiere di Avcılar a Istanbul due giorni prima, è morta in ospedale. Nel solo 2012 sono stati cinque i transessuali uccisi.

Rapimenti e associazionismo

E se in Turchia di omofobia e transfobia si muore, c’è anche chi per il proprio orientamento sessuale viene sequestrato. Lo scorso 23 febbraio Umut Göktuğ Söyler è stato rapito ad Ankara dal padre, un militare di professione, e dallo zio poliziotto che dopo aver scoperto che il ragazzo conviveva con il suo compagno hanno sfondato la porta della loro casa e dopo aver minacciato i due con una pistola e picchiato il suo fidanzato, lo hanno portato via. Nonostante Söyler avesse chiesto due settimane prima alla polizia di proteggerlo nessuno si era curato della sua denuncia e a quasi un mese dal suo rapimento la magistratura non ha ancora emesso un mandato d’arresto nei confronti del padre e non si hanno notizie del ragazzo.

Contro episodi come questo e per migliorare le condizioni di vita delle persone omosessuali, bisessuali e transessuali in Turchia è attivo un gruppo di associazioni che con il passare del tempo sta diventando sempre più radicato anche fuori dalle grandi città e ora oltre ad associazioni storiche come Labda a Istanbul o Kaos GL ad Ankara stanno nascendo nuove realtà importanti come l’associazione Hebun di Diyarbakır, Pembe Hayat, prima Ong di Ankara impegnata nella difesa dei diritti delle persone transessuali o lo Spod, un gruppo di ricerca sulle politiche sociali, l’identità di genere e l’orientamento sessuale di Istanbul.

Una scelta, quella di lottare per i diritti delle persone Lgbt che una delle madri dell’associazione Listag spiega così: “Tutti i giorni sulle pagine di cronaca dei giornali leggiamo di episodi di violenza contro omosessuali e trans, in molti leggono e voltano pagina, ma per noi, invece, ognuno di loro è come nostro figlio e nostra figlia e nel nostro cuore si apre una ferita ogni volta che sentiamo di fatti del genere”.

Articolo originale: http://www.balcanicaucaso.org/aree/Turchia/LGBT-in-Turchia-sono-i-nostri-figli-132951