Domenica 3 febbraio 2013 ho seguito la trasmissione “Presa diretta” su Rai 3 con sentimenti contrastanti: da una parte l’aspettativa (alimentata dai messaggi di segnalazione circolati in molte liste pacifiste nei giorni precedenti) e la soddisfazione perché finalmente un tema tabù, sconosciuto alla maggior parte degli italiani, veniva trattato in prima serata, dall’altra un senso crescente di delusione.

Da un punto di vista giornalistico la trasmissione era documentata e approfondita, ma il taglio dato alle interviste privilegiava un aspetto a mio parere secondario: gli F35 vanno rifiutati PERCHE’ E’ IMMORALE SPENDERE MILIARDI DI EURO IN UNO STRUMENTO DI DISTRUZIONE, quando quei soldi potrebbero essere utilizzati per interventi urgenti e molto più utili nel campo della scuola, della sanità, ecc. Il fatto che questi aerei siano costosi e inefficienti dimostra caso mai l’arroganza e la mala fede dell’industria militare e dei suoi lacchè politici. E se poi, paradossalmente, funzionassero alla perfezione, la loro letale capacità di distruzione sarebbe una ragione in più per rifiutarli.

Vedo già i risolini di superiorità e compatimento di chi si appella al realismo, agli obblighi internazionali, alle dure necessità poste da una realtà imperfetta e bolla questo ragionamento come utopistico (nelle interviste ai leader politici c’è stato ampio spazio per questo atteggiamento); bisognerà ricordare per l’ennesima volta che tante cose oggi date per scontate venivano un tempo considerate utopie irrealizzabili?

Ascoltando alcuni degli intervistati mi sembrava di assistere a una discussione surreale sui diversi metodi per applicare la pena di morte – è meglio la fucilazione o l’impiccagione? La sedia elettrica è un sistema barbaro, l’iniezione letale è più umana – quando il vero tema è la sua totale immoralità. Per tutta la trasmissione non si è mai messo in discussione il presupposto fondamentale della questione: se nell’articolo 11 della Costituzione “l’Italia ripudia la guerra”, la conversione dell’industria bellica e il taglio delle spese militari non dovrebbero essere una priorità per qualsiasi governo? E più in generale, perché spendere 1.740 miliardi di dollari a livello mondiale, la cifra più alta dalla caduta del muro di Berlino, secondo i dati per il 2011 diffusi dal SIPRI – Stockholm International Peace Research Institute – quando con quei soldi si potrebbe porre fine alla povertà e alla fame nel mondo? Non a caso questo dato non è stato fornito, né si è parlato del fiorente commercio delle armi, con i suoi quasi 30 miliardi di dollari di giro d’affari. Solo negli ultimi minuti di trasmissione il costaricano Oscar Arias, uno dei pochi Premi Nobel per la Pace davvero meritati, ha ricordato che i cinque maggiori produttori di armi sono proprio i membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

Il solito ricatto occupazionale poi suonava ridicolo: per sostenere questo folle progetto all’improvviso i posti di lavoro –pochissimi, tra l’altro – diventano importanti, quando in genere non ci si cura affatto dei milioni di disoccupati, licenziati, precari, esodati ecc. ecc.

Nel corso della trasmissione si è paragonato l’acceso dibattito sull’acquisto o meno degli F35 in corso in altri paesi con la scarsa attenzione dedicata al tema dall’Italia. Il fatto che in Parlamento se ne sia discusso in modo frettoloso e superficiale dimostra ancora una volta lo squallore e la vigliaccheria della nostra classe politica (con poche eccezioni, parlamentari non a caso non ricandidati alle prossime elezioni) e non esaurisce affatto la questione. Al di fuori del Parlamento, infatti, la campagna “Taglia le ali alle armi” promossa da Rete Disarmo, Tavola della Pace e Sbilanciamoci, ha raccolto 75.000 firme di cittadini, coinvolto 650 associazioni e ottenuto il sostegno di oltre 50 Enti Locali (tra Regioni, Province e Comuni). Anche su questo, non una parola.

La seconda parte della trasmissione, dedicata alle servitù militari in Sardegna e ai disastri ambientali e sanitari provocati dai poligoni di Quirra e Capo Teulada ha mostrato un po’ più di coraggio: le testimonianze strazianti di chi ha perso un figlio, ha visto morire tanti amici o si è ammalato di tumore per le sostanze tossiche rilasciate in quelle zone parlavano da sole, soprattutto se paragonate all’indifferenza e all’ipocrisia di avvocati e militari.

Si potrebbe argomentare che la puntata di “Presa diretta” è stata un primo passo, che ora almeno il tema è più conosciuto. D’accordo… ma non basta.

Qualche trasmissione tornerà a occuparsi del tema, magari in modo più ampio e approfondito? Difficile dirlo. Ancora una volta, il compito di informare, denunciare, sensibilizzare e fare pressione ricade sui mezzi di informazione alternativi e dipende dal coraggio e dalle iniziative di chi si ribella alla logica della violenza.