E.F : Attraverso numerosi esempi, lei dimostra come il mondo stia scivolando verso una specie di regime autoritario il cui unico intento è mantenere i privilegi di una casta, l’oligarchia. Questa analisi la porta a una conclusione socialmente e politicamente drammatica: la fine della democrazia.

L’oligarchia è la definizione di un regime politico, un concetto creato dai greci nel IV e V secolo a.C. I greci definirono i vari sistemi in cui le società umane potevano essere governate: dittatura, dispotismo, monarchia, tirannia, democrazia, che è il potere del popolo esercitato per il popolo e dal popolo, e infine quella forma di governo che è appunto l’oligarchia. L’oligarchia è il potere nelle mani di pochi. Quello che io dico, dunque, è che, almeno in Europa, stiamo scivolando verso l’oligarchia. Il sistema politico attuale permette a un gruppo ristretto di persone di imporre i propri criteri al resto della società.

E:F: Lei sostiene quindi che ci troviamo in una fase di post-democrazia nella quale, con l’obiettivo di restare al potere, l’oligarchia tiene in piedi una commedia, una fiction democratica.

Certo. L’oligarchia ripete continuamente che siamo in democrazia e che tutto è perfetto. È una fiction. Persino gli intellettuali hanno dimenticato il concetto di oligarchia e contribuiscono ad alimentare la finzione. Gli intellettuali in sintonia ideologica con il capitalismo hanno perpetuato l’idea secondo la quale esistono solo due alternative: o la democrazia, o il totalitarismo. Cosa forse comprensibile all’inizio, se pensiamo a due esempi: negli anni ’30 con Hitler, o negli anni 50/60 con l’Unione Sovietica, si poteva sostenere la necessità di optare tra la democrazia e queste dittature. Tutto questo, però, è finito: dopo la caduta del muro di Berlino e il crollo dell’Unione Sovietica, passiamo ad un altro ordine. Ma gli intellettuali al servizio del capitalismo persistono nell’idea che esistono solo due vie: dittatura o democrazia. Ecco perché è importante che l’idea di oligarchia sia ben presente, per poter comprendere che, progressivamente, la democrazia ci è stata sottratta. I paesi europei, e ancor più gli Stati Uniti, vanno scivolando verso un regime oligarchico nel quale il popolo già ora non ha più potere. Se la democrazia europea è malata, si è andata indebolendo, e si orienta sempre più verso l’oligarchia, dall’altra parte gli Stati Uniti hanno già smesso di essere una democrazia: è un’oligarchia, visto che è il denaro a determinare l’orientamento delle decisioni politiche. In realtà, l’oligarchia è una democrazia che funziona solo per gli oligarchi. Una volta che si sono messi d’accordo tra di loro, impongono le loro decisioni. I nostri sistemi non possono più essere chiamati democrazie, dato che la potenza finanziaria detiene un potere smisurato. Le istituzioni pubbliche sono nelle mani del sistema finanziario. Non prenderanno mai decisioni che potrebbero nuocere agli interessi economici, agli interessi dell’oligarchia finanziaria. Dobbiamo accettare che quelli che tengono le redini del potere politico dello Stato non prendono decisioni a beneficio dell’interesse generale. Le loro decisioni possono essere contro l’interesse pubblico.

Questo ragionamento implica che la sovranità popolare è scomparsa, come idea e nella pratica.

Effettivamente. Non c’è più sovranità popolare. Quando il popolo riesce a riflettere, a discutere e a deliberare insieme, e prende una decisione, l’oligarchia contraddice la decisione popolare. Nel 2005, in Europa, c’è stato un ampio dibattito per un referendum che è stato infine organizzato in Francia, poi in Irlanda e nei Paesi Bassi su un progetto di trattato sulla Costituzione Europea. Per sei mesi, la società francese ha discusso su questo argomento come non avveniva da anni. I mezzi di informazione, sposando la filosofia capitalista, dicevano “bisogna votare sì, bisogna votare a favore del trattato”. Ma il popolo francese ha votato “no”. E che cosa è successo? Quasi due anni dopo, i governi europei hanno imposto questo trattato con qualche piccola modifica sotto il nome di Trattato di Lisbona. Si è trattato quindi di un clamoroso tradimento della volontà popolare. Possiamo trovare esempi simili altrove. Senza andare lontano, nel 1991, in Algeria, gli islamici hanno vinto le elezioni legislative, ma i militari hanno interrotto il processo con un colpo di stato che ha trascinato il paese in una spaventosa guerra civile. Altro esempio: nel 2005, i palestinesi hanno votato per scegliere i loro deputati. Ha vinto Hamas. Tuttavia, tutti gli Stati, dagli USA all’Europa, passando per Israele, hanno scelto di ignorare Hamas perché lo considerano un’organizzazione terrorista. Non si è rispettato il voto del popolo palestinese. Il popolo in quanto tale è il cuore della democrazia, cioè il principio in base al quale tutti noi condividiamo qualcosa. Il popolo non è lei, Michel o io, ma siamo noi tutti insieme. Condividiamo qualcosa, e dobbiamo prendere una decisione condivisa. Formiamo un solo corpo, ecco perché si parla di “corpo elettorale”. Ma quello che è successo in Europa nel 2005 segna una frattura profonda con il popolo.

Tuttavia, tra il concetto di oligarchia dell’inizio del XX secolo e oggi, esiste una frattura radicale all’interno del gruppo.

Sì. C’è stata un’evoluzione dell’oligarchia. Ora possiamo parlare delle deviazioni dell’oligarchia spinte dall’evoluzione stessa del capitalismo. In questi ultimi trent’anni il capitalismo si è trasformato. Tutto comincia nel 1980, quando Ronald Reagan vince le presidenziali negli Stati Uniti e Margaret Thatcher arriva al potere in Gran Bretagna. A partire da allora, non solo si è concretizzato un capitalismo orientato alla speculazione finanziaria, ma ha anche avuto luogo una trasformazione culturale, antropologica. La filosofia capitalista si è diffusa con questo messaggio: “La società umana non esiste“. Per i capitalisti, la società è un insieme di individui rinchiusi in una bolla, e la sua unica missione consiste nel cavarne il massimo dei profitti. Per i capitalisti, ogni individuo è separato dagli altri, si trova in concorrenza permanente con loro. In questa visione, ciò che è comune non è più il popolo ma il mercato. Questo è il motivo per cui tra la gente c’è tanta difficoltà a sentirsi cittadini partecipanti a un processo comune. Il sistema ha occultato un dato: il fenomeno fondamentale prodottosi in seno al capitalismo in questi ultimi trent’anni è stato l’aumento dell’ineguaglianza, in tutti i paesi, compresi quelli emergenti.

Ci troviamo in una fase cruciale della crisi. Già ora, non è una sola crisi, ma più d’una, tutte concentrate nello stesso tempo. La risposta dell’oligarchia è proporzionale all’intensità di queste crisi: autoritarismo e repressione come risposta.

Siamo in un momento delicato per l’umanità. La crisi ecologica peggiora sempre più, mentre le crisi sociali aumentano: Europa, Stati Uniti, i paesi arabi, Cina, India. E di fronte all’aumentare delle proteste popolari, l’oligarchia tende a prendere una direzione sempre più autoritaria, repressiva, militare. Succede in Francia, in Italia, in Inghilterra, negli Stati Uniti, in Canada. In ognuno di questi paesi abbiamo assistito allo sviluppo impressionante di tecnologie di stampo poliziesco (telecamere di sorveglianza, schedari informatici, e così via). Ci troviamo di fronte ad un duplice pericolo: non solo che la democrazia vada verso l’oligarchia ma anche che l’oligarchia, il capitalismo in generale, entrino in una fase autoritaria, insistendo su temi come la xenofobia, l’insicurezza o la rivalità tra le nazioni. L’oligarchia non vuole adottare misure in grado di affrontare la crisi ecologica o per diminuire le ineguaglianze. No. Quello che l’oligarchia vuole, è mantenere i propri privilegi fondamentali. È un’oligarchia distruttrice. Credo che non si renda conto della gravità della situazione. Anziché evolversi, l’oligarchia diventa di volta in volta più reazionaria.

Oggi si presenta un nuovo elemento, senza dubbio determinante: la crisi ecologica, la crisi climatica. Tuttavia, pochi sono disposti ad accettare la sfida.

Siamo in un momento essenziale nella storia dell’umanità, per due motivi. Prima di tutto, attraversiamo un momento della nostra storia nel quale l’umanità ha raggiunto i limiti della biosfera. La specie umana si è sviluppata e distribuita attraverso il pianeta sfruttando una natura che ci sembrava immensa e inesauribile. Ma ora l’insieme della specie umana scopre che il pianeta ha dei limiti e che è necessario trovare un nuovo equilibrio tra attività e creatività umane e le risorse disponibili. Dobbiamo cambiare la nostra cultura e passare dall’idea secondo la quale la natura è inesauribile alla realtà del fatto che stiamo mettendo in pericolo le sue risorse. Non ci resta che imparare a economizzarle e utilizzarle con saggezza e prudenza. Qui entra in gioca il cambiamento culturale. Il secondo motivo è che ci troviamo in un momento nel quale formiamo una società umana. Finora siamo stati come stranieri l’uno con l’altro. Adesso non più. Anche se a Rio de Janeiro si vive in modo diverso da Parigi, Londra o Shanghai, esistono molti elementi comuni che ci portano a prendere coscienza del fatto che apparteniamo allo stesso mondo. La globalizzazione non riguarda solo la globalizzazione della cultura o dell’economia, no, ma tocca anche la popolazione umana. Scopriamo di avere interesso comuni. Le problematiche dell’oligarchia o della democrazia sono in gioco tanto in “America Latina [El Correo propone “Latinoriginario “, perché bisogna integrare e non dividere, come fa invece quel concetto razzista e segregazionista]”, in Asia e in Europa. Siamo un’unica società. Questo è un elemento nuovo nella storia dell’umanità. Ma questa nuova società deve riscrivere, reinventare un nuovo modo di vivere con la biosfera e con le risorse naturali. Se non riusciamo a farlo, questa società andrà verso il caos, verso la competizione esasperata e la violenza [come già sta succedendo in Medio Oriente e in Africa, N.d.T. spagnola]. Non ci saranno solo disordini, l’avventura umana essa stessa si fermerà.

Per lei, non ci potrà essere una ripresa della democrazia se la questione ecologica non viene presa in considerazione.

Ecologia e democrazia sono inseparabili. Se guardiamo agli anni 70, quando è nato il movimento ecologico, lo ha fatto con una critica alla democrazia. La democrazia è sempre stata nel cuore dell’ecologia. Ma poi il capitalismo ha sterzato verso l’oligarchia, e già non siamo più in una situazione democratica. Capitalismo e oligarchia spingono sempre verso la crescita economica. Ma oggi sappiamo che la crescita economica provoca dei danni importanti all’ambiente. Non siamo capaci di produrre crescita economica senza distruggere l’ambiente, senza emettere gas serra, senza distruggere le foreste come in Amazzonia, o senza produrre enormi quantità di soia come in Argentina, dove vengono impiegate tonnellate di pesticidi. La crescita permette di dimenticare l’esistenza di una enorme diseguaglianza. La crescita permette di calmare le tensioni sociali. Lo sviluppo dell’oligarchia, e cioè il delirio di un ristretto gruppo di persone per l’arricchimento spropositato, spinge alla crescita e, allo stesso tempo, alla distruzione della natura. Ecco perché la questione democratica è cruciale. Dobbiamo giungere a una situazione nella quale possiamo discutere e riuscire a diminuire le diseguaglianze e così ridefinire insieme un’economia giusta che non distrugga l’ambiente.

In definitiva, qualsiasi riformulazione del concetto e del principio di democrazia passa per l’ecologia.

Esatto: è impossibile pensare il mondo se ci dimentichiamo della questione ecologica. Non è un tema esclusivo dell’Europa o del mondo occidentale, no, è una questione mondiale. La questione del cambiamento climatico, quello dell’esaurimento delle risorse o dell’inquinamento, sono tutte problematiche mondiali. L’emancipazione umana, la dignità umana, la giustizia sociale, l’evoluzione verso una società realizzata nella quale ognuno potrà esprimere le proprie potenzialità in relazione con gli altri, nel concreto: tutto questo non può essere pensato se sono lasciati da parte i temi della natura e della relazione con la biosfera. La situazione attuale è grave a causa della crisi ecologica ma è anche piena di speranza. Abbiamo davanti dieci o vent’anni per organizzare la transizione e permettere ai giovani di domani di immaginare una società armoniosa. Se in dieci anni non arriviamo a controllare l’inquinamento, se in dieci anni non riusciamo a impedire l’evoluzione dittatoriale del capitalismo, andiamo dritti verso situazioni davvero molto difficili.

Eduardo Febbro per Pagina 12
Pagina 12 Parigi, 18 febbraio 2013

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PERCHÉ HERVE KEMPF ?

Oligarchia, un vecchio concetto.

Di Eduardo Febbro

Viviamo in una dittatura o in una democrazia? Per il saggista Hervé Kempf, questa domanda ha una risposta senza appello: le società occidentali marciano verso la dittatura, i modelli che reggono oggi le società democratiche occidentali sono una rappresentazione di una democrazia di cartapesta che obbedisce a un padrone: il sistema finanziario [internazionale, N.d.T. spagnola]. Il suo potere assoluto su ogni cosa non solo crea abissali diseguaglianze tra gli individui ma ha portato, anche e soprattutto, il pianeta alla crisi ecologica che oggi mette in pericolo la stessa sopravvivenza della specie umana. Questa è la tesi centrale dell’ultimo libro con il quale Hervé Kempf conclude la sua trilogia iniziata con gli altri due famosi libri: « Perché i mega-ricchi stanno distruggendo il pianeta » e «Per salvare il pianeta dobbiamo farla finita con il capitalismo». Il libro che conclude la trilogia è, già dal titolo, una dichiarazione di guerra contro quanti utilizzano la democrazia per arricchirsi: “Basta con l’oligarchia, viva la democrazia”.

Il panorama descritto da Hervé Kempf è una radiografia precisa del mondo contemporaneo: i grandi mezzi d’informazione sono controllati dal capitale, le lobby secrete decidono del destino di milioni di persone indipendentemente dalla volontà popolare espressa nelle urne, la cultura delle finanze e la loro radicale impunità detta le politiche contro il bene comune. In breve, una casta di potenti decompone la democrazia e nello stesso tempo distrugge il pianeta. Kempf sostiene che, per vivere in pace e per affrontare le sfide del XXI secolo, è indispensabile restaurare la democrazia.

Questo impone una necessità assoluta: smascherare l’oligarchia per mostrarla com’è realmente, un regime teso a mantenere i propri privilegi di casta a scapito delle urgenze sociali ed ecologiche.

Il libro di Hervé Kempf riporta d’attualità un concetto potente e innovativo, la cui prima formulazione risale agli anni 70: è impossibile pensare alla democrazia e all’avvenire dell’umanità senza includere l’ecologia come fattore di regolazione della democrazia stessa.

Fonte: http://www.elcorreo.eu.org/L-autorite-publique-est-aux-mains-du-systeme-financier-Herve-Kempf

Traduzione dal francese di Giuseppina Vecchia