Nel 2008 l’Islanda è balzata al centro dell’attenzione dei movimenti sociali progressisti di tutto il mondo come il paese nel quale sono crollate le uniche tre banche (privatizzate) in seguito al crollo della Lehman Brothers negli Stati Uniti. Con grande sorpresa tanto del mondo che assisteva quanto degli islandesi stessi, migliaia di persone hanno preso parte a manifestazioni davanti al Parlamento islandese. Nel giro di poche settimane il governo è caduto e il capo della banca centrale se n’è andato.

Cosa ancora più scioccante, a tutto ciò è seguita la mancata apposizione della firma, da parte del Presidente che per la prima volta ha usato questa sua prerogativa, a un disegno di legge che avrebbe costretto i contribuenti islandesi a risarcire i risparmiatori inglesi e olandesi per i soldi persi nei loro investimenti. Ciò ha portato, nel marzo 2010, ad un referendum nazionale che il popolo non ha approvato, quindi a un secondo disegno di legge e a un secondo referendum, anch’esso respinto.

La crisi ha condotto alla richiesta di una nuova Costituzione e un organismo composto da 25 membri è stato eletto con il compito di redigerla. Tuttavia la Corte Suprema è intervenuta affermando che tale organismo era illegale. Il Parlamento ha quindi nominato quelle stesse 25 persone affinché elaborassero una bozza di Costituzione che potesse poi adottare.

Questo è ciò che sa la maggior parte del mondo esterno. Gli attivisti parlano del meraviglioso modello dell’Islanda, il paese che ha portato il governo alla base e incarcerato i propri banchieri canaglia. Questo è perlopiù vero, ma quanto è cambiato da allora?

Pressenza è in Islanda per coprire la visita dell’umanista cileno Tomas Hirsch, invitato dal Partito Umanista locale per discutere con gli attivisti dell’esperienza legata allo sviluppo di campagne politiche in altri paesi. Cogliamo così l’occasione per aggiornarci sulla rivoluzione islandese. Si dà il caso che alcuni degli articoli in inglese più letti su Pressenza parlino proprio dell’Islanda.

Allora, cosa è successo alla Costituzione? Quali controlli sono stati attuati sulle banche? Come si sviluppa una democrazia reale? Queste sono le domande che abbiamo posto.

Le risposte non sono state molto incoraggianti…

Le 25 persone che avrebbero dovuto scrivere la Costituzione hanno avuto le mani legate fin dal principio da parte dei giudici che ritenevano il processo illegale. Pertanto il Parlamento, anziché legalizzare il processo, ha deciso di far lavorare il gruppo su un progetto che il Parlamento stesso potesse poi approvare, respingere o modificare.

I risultati sono stati deludenti. In primo luogo, il gruppo non ha fatto alcuna proposta per regolamentare le banche e le attuali tre nuove banche (che hanno sostituito le tre banche crollate) sono libere di fare esattamente le stesse cose di prima. Nessun islandese con cui abbiamo parlato ritiene che le banche potranno mai comportarsi nuovamente in modo così irresponsabile, ma non ci sono proposte per regolamentare le loro attività.

D’altra parte, alcuni elementi sembrano positivi. Ad esempio, c’è un articolo che sancisce che le risorse nazionali appartengono alla nazione.

Ma il punto è che non vi è alcun segnale sul fatto che il governo abbia intenzione di attuare le proposte, nonostante queste siano state sottoposte a referendum nazionale, ottenendo l’appoggio di circa i due terzi di coloro che hanno votato.

Quindi, abbiamo un processo di elaborazione della Costituzione spogliato di tutto il suo potere vincolante; viene poi redatta una Costituzione che non riesce ad affrontare i temi della crisi bancaria e in ogni caso il governo rifiuta di adottare le modifiche proposte!

Non eravamo preparati a queste risposte. Immaginavamo una Costituzione basata sul valore dei diritti umani, su nuovi meccanismi per la democrazia reale e diretta e sui controlli bancari, ma la rivoluzione islandese non è riuscita a produrla.

Gli attivisti con cui abbiamo parlato, nel complesso, sono delusi e in alcuni casi un po’ disillusi riguardo all’intero processo. Ci sono ancora persone che lottano per proteggere la parte più vulnerabile della società utilizzando i meccanismi giuridici a loro disposizione e c’è una proliferazione di nuovi partiti politici che si preparano per le elezioni dell’aprile di quest’anno, ma non c’è stato alcun cambiamento strutturale.

Sigridur Þorgeirsdóttir, docente di filosofia presso l’Università islandese, ha spiegato che le modifiche apportate al sistema sono superficiali. Tutti e quattro i principali partiti politici hanno cambiato la loro leadership, ma “il sistema generale è intatto.”

“La cosa migliore è che ora la corruzione è evidente, ma i politici hanno pochissimo spazio per fare la differenza.”

La professoressa ha spiegato che in Islanda il vero potere non è nella politica, ma nelle mani di “agenzie esterne”, come quelle che gli umanisti potrebbero definire il Grande Capitale. In questo senso è chiaro che l’Islanda non è diversa dal resto del mondo e proprio come le rivoluzioni che hanno avuto luogo in Tunisia e in Egitto e quelle tentate in Spagna e da movimenti sociali come Occupy Wall Street, la rivoluzione Islandese è ben lungi dagli ideali proposti dai suoi protagonisti.

 

Traduzione dall’inglese di Matilde Mirabella