Una decina tra attivisti, fotografi e video maker italiani della “Campagna Solidarietà con le Comunità Ixiles”, aderente alla Rete StopEnel, sono in questi giorni in Guatemala per monitorare le conseguenze di alcuni progetti dell’Enel, tra cui la diga di Palo Viejo, nel cuore del territorio abitato dalla popolazione dei Maya Ixiles. Fino all’ultima settimana di febbraio è in programma una serie di incontri con esponenti delle autorità guatemalteche, dell’Alto commissionato delle nazioni unite per i diritti umani e delle comunità locali per acquisire informazioni sui progetti contestati.

Al riguardo, negli ultimi mesi si sono tenute alcune udienze pubbliche presso l’Alta Corte guatemalteca sui ricorsi presentati dalle autorità Ixiles contro il ministero dell’Energia e delle Miniere e contro le sentenze a favore dei progetti per la produzione e il trasporto di energia elettrica che si stanno imponendo nella regione senza rispettare le procedure adeguate. La pubblica accusa si è già espressa a favore delle autoritá ixiles, dal momento che ritiene che lo Stato abbia violato i diritti della popolazione e le normative nazionali approvando le concessioni senza previamente realizzare una consultazione e fornire le corrette informazioni alle popolazioni locali.

Anche Re:Common lo scorso anno ha svolto una missione sul campo in Guatemala, i cui risultati sono riportati nella pubblicazione “Il caso Palo Viejo”, scaricabile dal sito dell’associazione: http://www.recommon.org/il-caso-palo-viejo-in-guatemala/

Re:Common ha potuto constatare in maniera diretta come Palo Viejo sia collocato all’interno della Finca San Francisco, un’immensa piantagione di caffè gestita dall’Agricola Cafetelera Palo Viejo. La finca appartiene alla famiglia Broll ed è stata messa insieme nel corso del secolo scorso attraverso la progressiva sottrazione di terre ai municipi limitrofi, alle comunità indigene e ai contadini. Ancora oggi i conflitti sulla proprietà della terra sono numerosi.

 

All’interno della finca si pratica il lavoro minorile. La raccolta del caffè e il trasporto dei grani viene svolto manualmente, i lavoratori sono pagati tre euro ogni cento chili di caffè e quelli stagionali sono ammassati in baracche collettive chiamate galeras, in condizione igienico-sanitarie molto precarie.

Le popolazioni indigene, inoltre, lamentano la mancanza di consultazione da parte dell’azienda, sebbene in questi casi il dialogo con i gruppi etnici presenti sul territorio sia previsto dalla Costituzione del Guatemala e dalla Convenzione 169 dell’ILO, e una marcata repressione delle forme di protesta non-violenta. Il tutto in un’area del Paese dove durante i lunghi anni della dittatura e della la guerra civile, terminata solo negli anni Novanta, si è registrato il numero più alto di vittime.

Le comunità chiedono giuste compensazioni per i danni subiti dai fiumi e dalle montagne che abitano da migliaia di anni, per cui vorrebbero che l’Enel garantisca loro almeno il 20 per cento dei profitti derivanti dal progetto.